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I due Dioscuri alla guerra contro informazione ed Europa

Don Antonio Sciortino
Don Antonio Sciortino

A ogni giorno il suo affanno. No, anzi, un nuovo nemico. Serve a distogliere l’attenzione dai problemi reali del Paese. O, meglio, dall’inconcludenza in cui si avvita il Governo. Ormai da cento giorni. O dalle continue figuracce. Nazionali e internazionali. Come quella della nave Diciotti, con 177 migranti a bordo, bloccata al porto di Catania per quattro giorni. O quella di Conte, presidente del Consiglio “per procura”, che solo all’ultimo e per pudore, recede dal concorrere per una cattedra di insegnamento alla Sapienza di Roma. Almeno, così pare. Perché deve ancora “riconsiderare”. Quasi fosse un primo ministro precario alla guida del Paese. O lo sproposito del ministro 5 stelle alle infrastrutture, Toninelli, che s’è sentito minacciato “preventivamente”. Prima ancora di andare al Governo. Pressioni quasi “a sua insaputa”, come la casa romana di Scaiola.

Ma il polverone della propaganda corre ai ripari. Rimedia. Punta sulla memoria corta della gente. E passa ad altro. L’esercizio migliore che gli riesce. Alla grande. Con la complicità dei mezzi di informazione, già allineati al “nuovo corso”. Anzi, sottomessi. Forse, prima ancora di qualche sollecitazione. Per gli altri, invece, quelli non osannanti, solo minacce. Accusati di falsità e di ogni tipo di illazione. «L’operazione di discredito verso questo Governo continua senza sosta», ha detto uno dei Dioscuri vicepremier. Per l’esattezza, quello in difficoltà con i congiuntivi. Ma non gli va meglio neppure con la geografia. Anche quella di casa: Matera per esempio. Eppure, fa la voce grossa. Con toni rancorosi, quasi vendicativi. Che mal si addicono a chi rappresenta le istituzioni. In vista c’è già qualche editto. Contro libertà d’espressione e pluralismo dell’informazione. Che non gli sono congeniali. Meglio soffocarli, dolcemente. Per mancanza d’ossigeno. Basta, quindi, con la  pubblicità ai giornali. Niente più inserzioni a pagamento da parte delle aziende di Stato. «I giornali dei prenditori editori ormai, ogni giorno, inquinano il dibattito pubblico». Meglio un pensiero unico. Quello governativo.

Nel frattempo l’altro Dioscuro, il vicepremier leghista, passa  da un nemico all’altro. «Tanti nemici, tanto onore». Chiuso, al momento, il capitolo migranti, il nuovo pallino è l’Europa. Dove lui, per anni, è stato ampiamente foraggiato. Da parlamentare sovranazionale, con scarse presenze in aula. E ora si abbatte con foga senza pari sull’Unione. Una delegittimazione continua. In combutta coi Paesi di Visegrad. E a braccetto con il primo ministro ungherese Orbàn, sotto accusa dal Parlamento europeo per violazione dei diritti umani e dei princìpi di democrazia. Con il Governo gialloverde che si spacca sul voto alle sanzioni. Ma prima c’era stato l’“innamoramento” leghista per la francese Le Pen. E anche l’attrazione fatale per il russo Putin. Sovranisti e populisti in crescita nel continente. Tutti uniti per ridurre in macerie il “sogno europeo”. Ma con quale alternativa? Un salto nel buio. «Rafforzare una casa comune solida e ben gestita», ha detto il presidente Mattarella, «è il più efficace antidoto contro antistoriche spinte dissociative». La storia non ha insegnato nulla. Varrebbe la pena rinfrescarla.

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L’Europa non è un mostro. Anche se, nella prima metà del secolo scorso, ha generato orribili mostri. La cui follia ha prodotto campi di sterminio, leggi razziali e decine di milioni di morti. In guerre assurde e fratricide. Questa tanto vituperata Europa, da più di settant’anni, ci ha regalato la pace. Assieme allo sviluppo e al benessere. Anche se non sempre equamente distribuito.

L’Europa non è un’entità estranea. Ci appartiene. Anzi, ne siamo tra i soci e i padri fondatori. Ne abbiamo posto le basi e firmato i trattati. Sotto la spinta di grandi ideali. L’Europa di De Gasperi, Schuman e Adenauer. Non quella che vorrebbero Orbán o Marine Le Pen. Certo, l’Europa non è solo la moneta in comune. Non basta l’euro a fare da collante. Senza un’anima condivisa, rischia di sgretolarsi. Come, purtroppo, sta avvenendo. Non solo a causa della grave crisi economica. Ma, soprattutto, per la perdita di valori fondanti. Come la dignità della persona e il rispetto dei diritti umani. Valori al di sopra di ogni interesse nazionale. Lo slogan “Prima gli italiani” (e gli altri che si arrangino!) è insensato. Ci tornerà addosso come un boomerang. Una società chiusa in sé stessa, segnata da egoismo e individualismo, non ha futuro. Anche se chi fa leva su un malinteso “amor patrio”, con una propaganda che non ha più fine, ottiene ampi consensi popolari. Ma il pifferaio di Hamelin può condurre al precipizio.

Quella attuale non è la migliore Europa possibile. E neppure l’Europa dei popoli. Mancano politiche comuni e condivise. Servono più contenuti sociali. I burocrati non riscaldano il cuore della gente. E leggi assurde, che non tengono conto delle specificità dei singoli Paesi, irritano. Danno fiato ai populisti e ai Masaniello di turno. Oltre ad alimentare distacco e sfiducia nei cittadini. L’ha denunciato anche papa Francesco: «Da più parti si ricava un’impressione generale di stanchezza, d’invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace». L’ha detto al Parlamento europeo di Strasburgo, a novembre del 2014. «I grandi ideali che hanno ispirato l’Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore di tecnicismi burocratici delle sue istituzioni».

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La soluzione, però, non è meno Europa. Ma più Europa. Il futuro non è nella “fortezza Europa”, che alza i muri e chiude le frontiere. Ma in un’Europa più aperta, che sa accogliere e integrare. L’immigrazione non è un fenomeno passeggero. Né una semplice emergenza. I popoli della fame continueranno a bussare alle porte dell’opulento Occidente. Per questo occorre – e non solo a livello europeo – una politica comune. Con più solidarietà e sussidiarietà tra i vari Paesi. Nessuno può essere lasciato solo nell’accollarsi il peso degli sbarchi. Lampedusa non è soltanto il confine dell’Italia, ma anche dell’Europa. Serve una politica più lungimirante. Che guardi oltre il “cortile di casa”. E che tenga conto delle gravi cause all’origine dei flussi migratori. Tra queste, la spropositata disuguaglianza economica tra le due sponde del Mediterraneo; la violazione dei diritti umani nei Paesi in guerra; la carestia e le persecuzioni. E anche i dati statistici non vanno trascurati. Tra qualche decennio, l’Africa avrà 1.800 milioni di abitanti. Nel frattempo l’Europa continua a invecchiare. E a non fare figli.

I migranti non sono nostri nemici. Tanto meno possiamo considerare invasori bambini e donne incinte in balia del mare. La politica necessita  di seri interpreti. Con più ideali e meno slogan. Non si canta vittoria sulla pelle degli immigrati, che fuggono dalla guerra o dalla fame. In cerca di un futuro migliore. Come, un tempo, fecero i nostri connazionali, andando all’estero. Chiudere i porti è facile. Ma non è la soluzione ai drammi umanitari. Il ministro dell’Interno dia, piuttosto, più impulso alla lotta alla criminalità organizzata in Italia. All’orizzonte, ben presto, s’affaccerà un’altra nave Diciotti. Con un altro carico di profughi. E il vergognoso balletto di ordini e contrordini si ripeterà. Il mondo è in fiamme. E nessuno s’adopera a spegnere i focolai di guerra. Che sono tanti. Alimentati anche dalle nostre armi. Un ottimo profitto per il Paese.

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Intanto nel Mediterraneo si continua a morire. Più di prima. Oltre 1.600 i morti dall’inizio d’anno. Senza i soccorsi delle navi Ong o della nostra marina. Nei primi giorni di settembre, cento migranti sono annegati vicino alle coste libiche. Tra questi più di venti bambini. E due di soli diciassette mesi. Gli Sos, forse, andati a vuoto. Nell’indifferenza totale. Dopo la “salviniana” chiusura dei porti italiani. E se il nuovo Alto commissario per i diritti umani dell’Onu, Michelle Bachelet (imprigionata e torturata sotto la dittatura cilena di Pinochet), osa solo ricordarlo, scatta la furibonda reazione del vicepremier leghista. Anche l’Onu finisce nel suo sprezzante mirino. Come un’organizzazione «prevenuta, inutilmente costosa e disinformata». Con minaccia di taglio dei fondi: i 100 milioni che l’Italia versa alle Nazioni unite. Peccato che l’Onu dia lavoro a cinquemila persone nel nostro Paese. E che l’Italia sia sempre più isolata nel mondo. E anche meno considerata. Meno affidabile.

Antonio Sciortino,
già direttore di Famiglia cristiana e attualmente direttore di Vita pastorale

 

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