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Il modello Riace al tempo degli editti populisti

Don Antonio Sciortino
Don Antonio Sciortino

EDITORIALE C’è un film, ora che le scuole sono iniziate, che meriterebbe di girare per le classi. Ed essere visto dai ragazzi. All’uscita, diversi anni fa, fu ignorato dal grande pubblico. Passato quasi inosservato nelle sale. Come spesso capita a opere di valore. Ma è tuttora attuale. Forse, più di allora. È Il volo del regista tedesco Wim Wenders. Quello del celebre Il cielo sopra Berlino.

È un film cortometraggio su una storia vera. Con attori professionisti e interpreti reali. Gente del posto e immigrati. Ambientato in un borgo della costa calabrese. Spopolato da una forte emigrazione. Con scuole chiuse, case disabitate e attività commerciali in rovina. Ma tornato a rivivere grazie a un veliero approdato sulla sua spiaggia. Con trecento profughi a bordo. Curdi in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni. La loro accoglienza ha ridato vita al borgo. E speranza a chi ha aperto loro le braccia.

Il modello Riace al tempo degli editti populisti
Il sindaco di Riace Domenico “Mimmo” Lucano, Per il mondo, il piccolo paese del reggino dimostra che l’accoglienza e l’integrazione dei migranti è possibile. Riace (Reggio Calabria) 1 settembre 2018 . ANSA/CESARE ABBATE/

Riace, oggi, non è più conosciuta per i famosi bronzi rinvenuti nello stesso tratto di mare. La sua fama, diffusa in tutto il mondo, è espressa in un cartello, all’ingresso del borgo: “Paese dell’accoglienza”. Qui i migranti sono di casa. Sono una risorsa. L’economia s’è ripresa. Ai telai, antica tradizione locale, lavorano fianco a fianco donne riacesi  e immigrate d’ogni provenienza. Un modello di integrazione riuscito. «Per la prima volta, ho davvero visto un mondo migliore», ha detto il regista Wim Wenders. «Ho visto un paese capace di risolvere, attraverso l’accoglienza, non tanto il problema dei rifugiati, ma il proprio problema: quello di continuare a esistere, di non morire a causa dello spopolamento e dell’emigrazione».

Un vero miracolo. Di cui poco si parla. La Calabria fa notizia solo per i fatti di Rosarno. Per gli scontri tra immigrati e popolazione locale. Con la “benedizione” della ‘ndrangheta. Nessuno conosce quest’altra Calabria, modello di accoglienza. Ultima in tante graduatorie, ma prima in umanità. E civiltà. «La vera utopia non è la caduta del muro di Berlino», disse Wim Wenders, parlando a un gruppo di Nobel per la pace, riuniti in Germania, «ma quello che è stato realizzato in alcuni paesi della Calabria, Riace in testa». I mass media, però, tacciono. Le buone notizie non “tirano”. L’albero che cade fa più rumore della foresta che cresce. Eppure il bene, fatto conoscere, è più contagioso del male.

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Uno scorcio di Riace, in provincia di Reggio Calabria. Per il mondo, il piccolo paese del reggino dimostra che l’accoglienza e l’integrazione dei migranti è possibile. Riace (Reggio Calabria) 1 settembre 2018 . ANSA/CESARE ABBATE/

In genere, c’è poca attenzione per le storie di integrazione. Che sono tante nel Paese. È un’altra narrazione quella che suscita consensi. Con lo straniero autore di un reato. Da sbattere in prima pagina. Più che la cronaca di Riace, fa notizia lo “stupro di una giovane studentessa a Milano da parte di cinque romeni”. Titolo a nove colonne sui quotidiani. A rafforzare l’immaginario collettivo. Oltre al pregiudizio che l’immigrato è uno spacciatore. Uno che stupra. D’altronde, da tempo, la propaganda ci ha convinti che “uno straniero che non lavora, non può che delinquere”. Con un martellamento quotidiano. Su tutti i mass media. Alimentato da politici irresponsabili. Ma scaltri nel lucrare consensi. Così, la disinformazione alimenta xenofobia e razzismo. E dà il via alla caccia al “nero”.

L’altra faccia della medaglia è quasi sempre oscurata. Gli immigrati vittime di italiani passano inosservati. Scarsa l’eco di questi crimini su giornali e Tv. Si mette la mordacchia. Si sminuisce. La cronaca evapora nel più breve tempo possibile. Relegata tra le notizie minime. Invisibili. Eppure, i delitti non sono meno gravi. Spesso, c’è più brutalità ed efferatezza. Ma che importa? In fondo, si tratta di un “nero”, uno straniero. La sua vita vale zero. Meno, senz’altro, dell’esistenza di un nostro connazionale.

Certo, l’immigrazione non è immune da devianza e delinquenza. Non vanno taciuti gli aspetti problematici. Le scomodità. I disagi della popolazione. Ma anche i nostri emigrati all’estero erano considerati criminali. Da tenere a distanza. Di loro, l’Ispettorato per l’immigrazione Usa, nel 1912, scriveva che erano «dediti al furto e, se ostacolati, violenti». E metteva in guardia: «le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche, quando le donne tornano dal lavoro». Ancora oggi, mafia è la parola più usata in ogni lingua. La memoria del passato richiederebbe moderazione. Meno diffidenza e più rispetto per gli stranieri, oggi in mezzo a noi.

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Uno scorcio di Riace, in provincia di Reggio Calabria. Per il mondo, il piccolo paese del reggino dimostra che l’accoglienza e l’integrazione dei migranti è possibile. Riace (Reggio Calabria) 1 settembre 2018 . ANSA/CESARE ABBATE/

Il “modello Riace”, in tempi di populismo gialloverde, dà fastidio. Non è “politicamente corretto”. Sarà pura coincidenza, ma una fiction televisiva su Riace giace negli scaffali della Rai. Da un anno circa. Rinviata più volte. Sospesa dai palinsesti. A giustificazione, la Rai adduce un’inchiesta della Procura di Locri su Mimmo Lucano, il coraggioso primo cittadino della rinascita riacese. A suo carico un “atto dovuto”. Per presunte anomalie amministrative segnalate dalla Prefettura. La stessa che, due mesi dopo, ne loda il sistema di accoglienza. «Non riesco a capire», si chiede il sindaco di Riace, «quale sia il collegamento tra il programma e l’esito dell’inchiesta».

Gli dà man forte Beppe Fiorello, il “Mimmo Lucano” protagonista della fiction Tutto il mondo è paese. Su Twitter denuncia ingerenze della politica. «Non è la prima volta», ha scritto, «che una mia fiction viene bloccata. Anni fa, le foibe: il Governo di allora non gradì. Poi la storia di Graziella Campagna, vittima di mafia: l’allora ministro della giustizia si indignò. Ora Riace, bloccata perché narra una realtà e nessuno/a dei miei colleghi si fa sentire». In un altro tweet aggiunge: «Sono tanti, intellettuali, registi, scrittori, attori, attrici, giornalisti che si indignano per l’esclusione di una giurata da un talent show. Pochi, invece, pronunciano parole di denuncia per questa vicenda che rischia di trasformarsi in censura».

Le “porte aperte” del borgo calabrese contrastano con i “porti chiusi” delle città italiane agli immigrati. Ma la realtà non si cancella. «Riace», ha detto Beppe Fiorello in un’intervista a Famiglia Cristiana, «non è un progetto di integrazione, è un progetto di umanità. Perché Mimmo Lucano aiuta prima di tutto i riacesi, non solo gli immigrati. Bisogna esportare questa umanità, questa modernità, facendo conoscere al mondo una Calabria diversa».

Ben diverso, anni fa, il comportamento della Rai per un’altra fiction televisiva. Quella voluta da Umberto Bossi, allora segretario della Lega Nord. Per esaltare le imprese di Alberto da Giussano contro Federico Barbarossa, lo straniero invasore. Un film “storico”, proiettato sull’attualità. Con Alberto da Giussano come “capostipite” della Lega lombarda e del popolo delle camicie verdi. Fu un flop colossale. In Tv e nelle sale. Con costi di produzione salatissimi: trenta milioni di euro. Due anni di riprese in Romania, migliaia di comparse, attori famosi. E una “particina” anche per Umberto Bossi: novello Alberto da Giussano. Quel colossal cinematografico fu battuto in audience dal Grande fratello. E pure da Report. Doveva essere il capolavoro epico della Lega. Per darle dignità di cultura e di storia. Fu una farsa. Una brutta pagina di una Rai prona alla politica. Troppo presto dimenticata.

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Uno scorcio di Riace, in provincia di Reggio Calabria. Per il mondo, il piccolo paese del reggino dimostra che l’accoglienza e l’integrazione dei migranti è possibile. Riace (Reggio Calabria) 1 settembre 2018 . ANSA/CESARE ABBATE/

Ma la logica degli inchini non è morta. Una sudditanza mortificante. E il potere si appropria delle reti pubbliche. Senza pudore. Più che in passato. Una spartizione da “manuale Cencelli”. O, peggio, da mercato delle vacche. In ballo, nello scambio, tetti pubblicitari, nomine alle direzioni dei Tg, presidenti di regioni. Con il tacito assenso dei 5 stelle. I “duri e puri” d’una volta. Prima d’arrivare al potere. Imbarazzante, poi, riproporre alla presidenza Rai Marcello Foa. Già bocciato in agosto. “Giornalista sovranista”, esperto e docente in tecniche di manipolazione dei media; estimatore di Putin; amico di Steve Bannon, l’americano che vuole sfasciare l’Unione europea. Foa, in un tweet, ha manifestato “disgusto” per Mattarella. E le sue parole  sull’Europa.

Torna, infine, il tempo degli editti.  E non solo per la Tv. La carta stampata, già in crisi di suo per l’avvento del digitale, è sotto tiro. Oggetto, sempre più frequente, di attacchi indiscriminati. Con il Movimento 5 stelle in prima fila. Grazie agli imput del fondatore, Beppe Grillo. E alle sue invettive: «Non comprate i giornali. È lo spreco più immorale e anacronistico che possiate fare di questi tempi». Definiti anche «carta igienica quotidiana». Non da meno i suoi seguaci: «I giornali, ogni giorno, inquinano il dibattito politico», ha detto Di Maio, il vicepremier pentastellato. «Non saranno le fabbriche di Fake news a fermarci», gli ha fatto eco Vito Crimi, sottosegretario all’Editoria. Quello che vuole abolire l’Ordine dei giornalisti. La  “pacchia” è finita. Basta con i contributi. Basta con le inserzioni pubblicitarie da parte delle aziende statali. Il tono è di rivalsa. Punitivo. Per un’insofferenza alle critiche. Ma la Federazione nazionale delle stampa li ha definiti «editti da federaletto di provincia».  Ci avvicinano all’Ungheria di Orbàn, cha ha messo il bavaglio alla stampa. O alla Turchia di Erdogan, «la più grande prigione al mondo per i professionisti dei media», come scrive Reporters sans frontières.

Ci resta un ultimo baluardo. Quello del presidente della Repubblica. Sempre vigile e attento. Una garanzia per le istituzioni. «L’incondizionata libertà di stampa», ha detto Sergio Mattarella, «costituisce elemento portante e fondamentale della democrazia e non può essere oggetto di insidie volte a fiaccarne la piena autonomia e a ridurre il ruolo del giornalismo». Parole nette. Inequivocabili. Chi ha orecchie per intendere, intenda. Purtroppo, non c’è più sordo di chi non vuol sentire. Appunto.

Antonio Sciortino

già direttore di Famiglia Cristiana e attualmente direttore di Vita Pastorale

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