Ultime notizie

Langhe e Roero piangono “Pinin” l’ultimo Bacialé con più di 110 matrimoni a segno

Langhe e Roero piangono "Pinin" l'ultimo Bacialé con più di 110 matrimoni a segno

MONTICELLO E’ mancato venerdì 26 ottobre a 93 anni  nella casa di riposo di Monticello, Giuseppe Artusio, detto Pinin, l’ultimo bacialé di Langhe e Roero. Lo intervistò, per Gazzetta, nel 2010, Mauro Alfonso, ecco l’intervista completa a Pinin.

L’intervista del 2010

Pinin dij Captun, al secolo Giuseppe Artusio, è nato nel 1925, a Castino, un paese delle Langhe, in provincia di Cuneo. Ora risiede a Baldissero. È conosciuto per quella che lui chiama la “vocazione” del bacialé, cioè di sensale di matrimoni, l’unico ad aver combinato solo matrimoni fra piemontesi.

Pinin può vantarsi di aver combinato ben centodieci matrimoni, senza che alcuno di questi sia fallito o – come si esprime Pinin – senza che «nessuno ha dato addio». In tre casi, egli ha fatto sposare sia i genitori sia i figli. L’unico rammarico di Pinin è il fatto che, su centodieci uomini che ha fatto sposare, uno di questi si sia poi rivelato «non abile al matrimonio», intendendo con ciò che non è riuscito ad avere figli.

Quello di cui, però, egli va più fiero, è il fatto di non aver mai chiesto alcuna ricompensa, per le sue prestazioni. Tutto quello che gli veniva dato era offerto spontaneamente.

Ci fu una volta – racconta – che lo vollero vestire come lo sposo: «Pensa, mi comprarono il vestito e mi fecero persino mettere un foulard di seta rosa. Ero talmente elegante, che mi hanno preso per lo sposo». E ride, divertito. Soltanto da qualche anno, Pinin ha cominciato a dire che se si vuole fargli un’offerta, questa deve essere in denaro, ma destinata con un vaglia all’Istituto per la ricerca sul cancro di Candiolo.

La mia prima curiosità è relativa all’occasione e all’età in cui abbia scoperto la sua “vocazione”. Senza esitare mi dice: «Io sono nato bacialé. All’età di 15 anni avevo già combinato due matrimoni. Erano dei miei amici che non avevano il coraggio di “dichiararsi”. Prima dei miei vent’anni, ne avevo già combinati parecchi. Fin da subito, “portavo” i maschi in casa delle femmine.

Oggi le cose sono diverse: è la femmina che va a casa dei maschi. Oggi le femmine sono più “dure”. L’é tut cambià… Una volta, però, si guardava più ai soldi che alla bellezza. E, poi, i genitori della ragazza contavano di più e dicevano che Ij sòd a fan bel qualsiasi òm…».

Quando gli domando come facesse a sapere chi fossero e dove si trovassero persone che si volevano sposare, mi risponde ridendo con quell’espressione arguta (Pinin direbbe “fric”, un termine che adopera spesso, ma che risulta sconosciuto ai roerini, ai quali ne ho domandato il significato) che te lo rende subito simpatico: «Io giravo come le mosche. Poi, quando sono diventato famoso, non solo i giovani, ma anche i genitori, venivano a cercarmi e mi chiedevano: “Has to gnente për mi?”… Ero una persona “pregiata”: tutte le suocere volevano Pinin al matrimonio». Lo conosco da anni e so che non si è mai sposato.

Approfitto dell’occasione per domandargliene il motivo: «Proprio tu che sei bacialé!». Prima che egli cominci a raccontare, i suoi occhi passano da un primo attimo di tristezza a un radioso sorriso. Quel giorno, in cui egli entrò nella cascina di Teresa, in un paese dell’alta Langa, lei stava facendo i tajarin. «Lei aveva la coda di cavallo, io i baffetti a “coda di mosca”. Avevo 28-29 anni.

Fui colpito dagli occhi neri. La corporatura era “aggiustata”… come donna, come gambe, come tutto… e parlava con un mezzo sorriso. Prima mi ha guardato negli occhi e poi… aveva sempre quei mezzi sorrisini. A un certo punto, mi ha detto che avevo “due occhi grigi magnifici”».

Pinin fa una pausa, perché l’affetto dei ricordi sta prendendo il sopravvento. Si riprende, però, subito e prosegue con una considerazione che rivela in fondo quale sia stato il criterio che lo ha guidato nella sua “missione”: «Una donna, ma anche una persona, la prima volta che la vedi, devi sapere se ti va o no». Poi, mi rivolge un’antica raccomandazione, servendosi di una colorita immagine popolare: «Ricordati, però, che con le donne non è bene, le prime volte, fare il “cagnone”. Non bisogna “saltarle addosso”». Ritornato alla nostalgia di Teresa, racconta che andava a trovarla in Langa due o tre volte alla settimana.

Lei era una straordinaria ballerina. «Mi hai domandato, perché non mi sono sposato. Ti rispondo subito che non volevo andare a vivere in casa della suocera. E poi là, era brutto e misero. Oggi però devo dire che ho sbagliato tutto: sono solo e vecchio e sono pentito».

Gli occhi di Pinin, questa volta si inumidiscono. «A me sono sempre piaciuti i matrimoni: da bambino ero sempre dietro gli sposini. Mi piaceva tendere il bindel, che la sposa doveva tagliare, nella cerimonia della trincera, perché potesse entrare nella sua nuova casa… Certo per questo “servizio” mi davano delle caramelle. E poi mi lasciavano mangiare il budino con il dito: mi chiamavano e mi dicevano: “Pinin, ven a bërliché ij fojòt” … Ero felice!».

Pinin, un giorno, mi ha anche illustrato alcuni aspetti tecnici dell’arte del bacialé. Il suo compito non si limitava a presentare i due giovani, ma consisteva anche nel seguire l’evoluzione del rapporto, soprattutto per evitare che si creassero situazioni «non giuste», come quella volta in cui lei «teneva i piedi in due staffe… Me ne sono accorto, perché io vedo tutto.

È stata l’unica volta in cui li ho fatti s-cianché». Il bacialé, come lo ha fatto Pinin, deve accompagnare il giovanotto due, tre volte, persino dieci, agli appuntamenti. «Stai, però, bene attento, perché io non ero un “Gioanin fà ciair”», nel senso che non “reggevo il moccolo”.

C’è, però, da dire che quasi tutti i maschi, quando sono da sposare, sono dei “pesci sott’acqua” (credo voglia dire “fuor d’acqua”), sono timidi. Quando invece sono sposati non ti parlano nemmeno più insieme; poi, si danno del vento… Una volta, un furicc si è fatto passare per impresario, mentre era un povero contadino. Ai maschi bisogna stare vicini, perché molti uomini «hanno paura delle donne.

Certe volte dovevo dire a lei che avesse pazienza, perché alla fine lui si sarebbe fatto avanti. Una volta, uno ci ha messo tre mesi prima di abbracciarla». «Eh, io conosco il mondo». Pinin non è affatto presuntuoso, come potrebbe farlo apparire questa affermazione, dato che, dopo un po’ che lo frequenti, hai l’impressione che forse lui ti conosca meglio di quanto tu conosca te stesso. La bottiglia di Nebbiolo è vuota e prima che io me ne vada ci tiene ad avvertirmi che «il bello non si mangia».

Mauro Alfonso

 

Banner Gazzetta d'Alba