Scopriamo i tanti significati del termine piemontese “Squàsi”

Scopriamo i tanti significati di "Squàsi"

ABITARE IL PIEMONTESE

Squàsi: Circa, pressappoco. Oppure moìna; esclamazione di gioia, paura, disapprovazione, stupore; petulante lamentela.

Quasi mai le traduzioni di alcune parole piemontesi, hanno una resa efficace quanto la parola stessa. Sì, perché se esiste una certa espressione e viene pronunciata in piemontese durante un discorso in lingua italiana, significa che il suo contenuto è esprimibile solo e soltanto in quel modo, probabilmente anche grazie al suono della parola stessa, verace o aggraziata che sia. È il caso della parola di questa settimana: squàsi.

Possiamo considerare la parola di questa settimana come un avverbio, oppure un sostantivo maschile plurale. E il significato cambia radicalmente a seconda della direzione che scegliamo di analizzare.

Nel caso dell’avverbio, è semplice se non addirittura intuibile che squàsi stia per quasi/circa/pressappoco, per via della sua origine latina quam-se. Nella sua accezione di sostantivo, invece, si apre un mondo: maschile e plurale racconta di una serie di esclamazioni esagerate, tendenzialmente paragonabili a sirene, persino un po’ fastidiose. Ma quando e, soprattutto, perché l’essere umano produce gli squàsi?

Per manifestare il proprio stupore davanti ad una sorpresa inaspettata; oppure per rimarcare il proprio prezioso valore in modo sofisticato a tutti coloro che si trovano nei paraggi; quando si esagera con l’alcool e va fuori controllo; o ancora quando un bambino è colto da un orrido spavento o dolore – la vista di un topo in cucina o una puntura di una medusa in mare; o magari quando si esagera nel fare complimenti; per non parlare poi di quando si vuole apostrofare qualcuno che per molto tempo si è impegnato seppur cantando indegnamente: o ȓ’ha facc dij squàsi për tuta ȓa sèira. Insomma, quando vengono emessi suoni vocali esagerati in quella circostanza, urletti esternati per un qualsivoglia motivo, quelli sono squàsi. Impossibili da scrivere, ma sì da descrivere.

Paolo Tibaldi

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