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Caso Caccia: la Procura generale di Milano avoca le indagini

Bruno Caccia
Bruno Caccia

MILANO Nell’udienza di ieri in cui era prevista la discussione sulla richiesta di archiviazione presentata dalla procura milanese relativamente al filone di inchiesta sull’omicidio del magistrato torinese Bruno Caccia che vede come indagato Francesco D’Onofrio, la procura generale di Milano ha avocato le indagini. A tal proposito abbiamo interpellato Paola Caccia, figlia del procuratore ucciso nel 1983.

“Viene sviluppato sempre quello che ci interessa meno: c’era questo filone investigativo relativo a D’Onofrio che tutto faceva presagire sarebbe stato archiviato, visto che nell’altro processo era stato del tutto trascurato. Proprio perché ritiene che sia stata trascurato, la Procura Generale a sorpresa, senza avvertire la procura, ha avocato le indagini; l’avocazione è infatti stata depositata durante l’udienza, in modo inconsueto”, spiega Caccia.

Quanto alle motivazioni del provvedimento, Caccia dichiara: “Innanzitutto non era stata approfondita la posizione di D’Onofrio; inoltre non sono mai stati ascoltati i famigliari, cosa per cui si è battuto il nostro avvocato Fabio Repici nell’altro processo. In realtà quest’opportunità arriva relativamente a un aneddoto di vita quotidiana raccontato a pagina 5 del libro di Paola Bellone “Tutti i nemici del procuratore”: in sintesi viene riportato come noi abbiamo sempre detto che mio padre non faceva trapelare le sue preoccupazioni, mentre una volta a tavola, ascoltando la radio, aveva protestato dicendo “insomma, non capite che rischio la vita”. Secondo noi però si tratta di un elemento che non porta da nessuna parte. Il nostro legale si era invece battuto per fare ascoltare noi come testimoni, o almeno mio fratello, che il giorno stesso dell’omicidio aveva chiesto a nostro padre “come va il lavoro?”, e lui aveva risposto “sta per succedere qualcosa di molto grosso””.

C’è ancora un elemento che sarà ulteriormente approfondito dai magistrati milanesi: “Abbiamo ricevuto a novembre dell’anno scorso, e depositato a dicembre, una lettera anonima con scritte varie cose tra cui una cosa del tipo “il tale- un detenuto – sa tutto, bisogna solo chiederglielo”. Secondo noi forse questi approfondimenti partono adesso perché Repici la scorsa settimana quando siamo stati ospiti della conferenza dei capigruppo al Palazzo Civico di Torino ha detto parole pesanti (link: https://www.gazzettadalba.it/2018/11/caso-caccia-la-figlia-paola-e-lavvocato-repici-hanno-parlato-di-depistaggio/): è come se ogni volta che alziamo il tiro venisse aperto un fascicolo su qualcosa che ci interessa poco ma non importa, l’importante è che si vada avanti. Cercheremo anche da questa angolazione sghemba di andare per la nostra direzione: andiamo un po’ a zigzag ma sono ottimista sul fatto che anche da direzioni strane alla fine si arrivi dove ci interessa, cioè a capire cosa sia successo veramente”, afferma la donna, ribadendo come già fatto in precedenza “la speranza che se qualcuno sapesse qualcosa si decida a parlare.”

E conclude: “Tengo a ricordare che la mattina dell’audizione a Torino Repici ha presentato alla procura di Torino un esposto per chiedere la revoca della semilibertà al boss Placido Barresi, pluriergastolano che nell’ambito del processo per il delitto di mio padre fu assolto; sotto questo aspetto non c’è ancora stata alcuna reazione da parte del Tribunale di Sorveglianza.”

Adriana Riccomagno

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