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L’ernia è l’intervento più diffuso

L’ernia è l’intervento più diffuso 1
Foto d'archivio

ALBA L’intervento chirurgico più praticato nel mondo è la riparazione erniaria: l’ernia è un problema assai comune e, su questa patologia, abbiamo fatto il punto col direttore del servizio di chirurgia dell’Asl Cn2 Marco Calgaro.

Che cos’è l’ernia?

«È la fuoriuscita di un viscere, generalmente l’intestino, dalla cavità che normalmente lo contiene, di solito l’addome, attraverso un’orifizio, un canale anatomico, un punto di debolezza della parete. Se l’orifizio da cui il viscere fuoriesce è un naturale si parla di ernia; se invece il viscere fuoriesce dalla sede dell’incisione di un precedente intervento chirurgico o a causa di un traumatismo diretto, allora, si parla di laparocele o eventrazione. Le ernie possono essere congenite, cioè presenti dalla nascita per un difetto di sviluppo, secondarie a uno sforzo fisico rilevante oppure conseguenti a una costituzionale cedevolezza dei tessuti in una data regione del corpo».

L’ernia è l’intervento più diffuso

Quanto sono frequenti?

«Le ernie più frequenti sono quelle inguinali, visto che ne soffre il 6-8 per cento della popolazione, nettamente più frequenti nei maschi; poi ci sono quelle ombelicali ed epigastriche, cioè della linea verticale mediana dell’addome (4 per cento della popolazione); poi quelle crurali, più rare, nettamente più frequenti nella donna e che con più facilità vanno incontro a strozzamento. Queste ultime prendono il nome dalla particolare regione anatomica dove si sviluppa il sacco erniario, l’adiacenza dei vasi femorali».

Come si curano?

«La terapia è quasi sempre chirurgica; spesso si strozzano e richiedono un intervento in urgenza».

a.r.

Si usano anche le protesi e i robot

Il direttore del servizio di chirurgia, Marco Calgaro spiega: «Le complicanze più frequenti delle ernie sono l’intasamento, quando un viscere si impegna nell’ernia e non si riesce più a ridurre in addome se non con grande difficoltà, e lo strozzamento, quando il viscere, in genere l’intestino, non può più essere ridotto e soffre fino ad andare in necrosi, il che richiede un intervento chirurgico in urgenza e può portare alla resezione di un tratto di intestino».

Ci sono miglioramenti?

«Negli ultimi trent’anni la terapia delle ernie ha fatto grossi passi avanti e si è passati dalla sutura diretta al posizionamento di protesi artificiali e alla riparazione laparoscopica anche con i robot. Questo ha consentito di diminuire le recidive dal 10 fino all’1 per cento attuale».

Spiega Marco Calgaro: «Ad Alba si praticano  più di 350 riparazioni erniarie l’anno e più di 50 riparazioni di laparoceli. Le tecniche impiegate sono tra le più moderne, infatti le ernie inguinali e crurali monolaterali vengono riparate con una piccola incisione inguinale in anestesia locale o spinale a cui segue il posizionamento di una protesi e, se serve, un tappo in polipropilene. L’utilizzo della protesi consente la riparazione senza tensione dell’ernia e, quindi, un dolore nettamente inferiore rispetto al passato, la ripresa pressoché immediata della deambulazione e il ritorno alla propria attività lavorativa tra 5 e 10-12 giorni dopo l’intervento».

Dopo un intervento di questo genere la dimissione dall’ospedale può avvenire la sera stessa o, di solito, il giorno successivo. Le ernie inguinali o crurali recidive o bilaterali vengono riparate in laparoscopia transaddominale.

«Si è visto che tale tecnica è più facile e garantisce migliori risultati, una ripresa più rapida e una minore incidenza di dolore cronico, che è una complicanza rara ma possibile dopo gli interventi di ernia»,  dice il chirurgo. «Per quanto riguarda le ernie ombelicali, epigastriche e i laparoceli di grandi dimensioni vengono riparate con una sutura diretta. La chirurgia robotica, che da poche settimane è una realtà anche ad Alba, pare molto promettente soprattutto per i grandi laparoceli e penso avrà importanti sviluppi».

a.r.

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