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Violenza e armi nelle cronache albesi dell’800

STORIA «Sarò io il prossimo?». Tanti giovani americani, qualche mese fa, gridavano questo slogan davanti alla Casa Bianca, dopo l’ennesima strage in una scuola, richiedendo al Governo limitazioni all’uso delle armi. Il dibattito negli Stati Uniti è sempre acceso tra chi vorrebbe limitare il possesso di armi e chi afferma che si debba conservare senza limitazioni il diritto tutelato dalla Costituzione americana dai tempi dell’indipendenza. Un argomento che è d’attualità anche nel nostro Paese, da un po’ di tempo a questa parte.

Qualche spunto di riflessione sull’argomento, possiamo trovarlo nel passato. Per limitarci all’Ottocento, se esaminiamo gli inventari notarili che elencano le povere suppellettili presenti nelle case contadine del Piemonte, ritroviamo con stupore un grande numero di armi da fuoco e da taglio. Un esteso possesso delle armi, in una società più violenta dell’attuale, era imposto dalla necessità di difendersi, ma tale possesso poteva generare un grande numero di problemi collaterali.

Giuseppe Cottolengo, giovane vicecurato a Corneliano, pagò care le conseguenze di questa disponibilità domestica all’uso delle armi. Narra monsignor Gorrino, il biografo ufficiale del futuro santo, che nel 1814 il Cottolengo si trovava sulla piazza di Corneliano di ritorno dal barbiere che gli aveva rinnovato la tonsura, quando un giovane nipote del parroco dalla finestra di casa vedendo la chierica del canonico ebbe questo strano pensiero: «Se io riuscissi col fucile a colpire in quel cerchio, sarei certo un cacciatore valente». Lo «stolto giovinotto» afferra il fucile, prende la mira e spara. «Il fuoco, non si accese, il colpo non partì, mentre il fucile era realmente carico a palla». Miracolo! Naturalmente il giovane prete, da santo quale era, perdonò subito il giovane, spiegandogli la gravità del suo gesto.

Violenza e armi nelle cronache albesi dell’800
Il bandito francese Louis Mandrinin in una stampa settecentesca.

Il bel libro di Milo Julini, Cronache criminali del vecchio Piemonte 1818-1848, attraverso un’accurata analisi delle sentenze penali della suprema magistratura piemontese, il Senato subalpino, ci aiuta a compiere un ulteriore passo avanti nel ragionamento. Un capitolo del testo è dedicato ai tanti individui «arrabbiati, vendicativi irrazionali, disadattati», che per un irreparabile moto di collera, e per una disponibilità delle armi, hanno dato «voce alla doppietta» come il Gallesio fenogliano, intraprendendo un viaggio senza meta, permeato di violenza, che ha portato alla loro morte e a quella di altri innocenti. L’autore cita, a questo proposito, molti esempi. Nel 1817, A.D. di Priocca spara un colpo di pistola ferendo gravemente la giovane T.P. per motivi sconosciuti – Julini ipotizza uno stalking ante litteram; il priocchese, latitante, viene condannato a morte e alla confisca dei beni. Sempre nel 1814, P.M. di Castiglione Falletto incarica G.B.Z. di uccidere per odio personale il consigliere Pietrino Musso; i due saranno condotti al patibolo nel 1815.

Francesco Andriano del luogo di Roddino, celebre assassino giustiziato ad Acqui nel 1829, esordisce nella sua carriera criminale uccidendo a colpi di coltello, «in barbaro e proditorio omicidio», un compaesano, forse per un attacco di collera.

Lo stesso Julini in un’altra ricerca ci ha mostrato come l’escalation delittuosa del bandito canalese Francesco Delpero, che terrorizzò il Piemonte per quattro lunghi anni, sia iniziata nel 1853 a Racconigi con l’accoltellamento di un delegato di polizia per futili motivi durante il carnevale.

Addirittura, l’arciprete di Guarene, Pietro Maria Romero, fu assassinato nel 1825 nel confessionale della chiesa parrocchiale da un compaesano che lo accusava di ostacolare il suo matrimonio. Oh bei tempi passati!

La questione morale del portare armi, data la violenza dell’epoca, viene affrontata dal castagnolese monsignor Michele Piano, parroco del duomo e vicario generale della diocesi di Alba, nel suo best seller Istruzioni dogmatico-morali del 1822. Piano evidenzia l’errore di coloro che non per ragioni di pericolo ma «per cattiva volontà portano armi addosso quando vanno in festa, o ai balli… Perché le armi sono poi quelle, che li rendono animosi, che facilmente li fanno prendere risse, questioni, e per voler fare il bravo, si mettono poi a pericolo o di ammazzare o di farsi ammazzare».

Luciano Cordero

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