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Condannati per maxi evasione due imprenditori, ma non andranno in carcere

Violenza sessuale, due arresti nell’Astigiano

ALBA Si è concluso con una condanna il processo per Massimo Borgotallo, di 48 anni, residente ad Alba, e la ex moglie, Luciana Rinaldi, di 49, di Piobesi, titolari dell’Affilatura Albese. Il Tribunale di Cuneo, con giudizio abbreviato, di fronte al Giudice per l’Udienza Preliminare Carlo Gnocchi, ha comminato una pena di quattro anni e sei mesi per l’uomo e quattro anni e due mesi per la donna; per i due però non si apriranno le porte del carcere, visto che hanno presofferto di otto mesi agli arresti domiciliari: la pena scende così a meno di quattro anni, soglia entro la quale si applica la sospensione automatica dell’ordine di esecuzione. Con la condanna è arrivata anche la revoca per entrambi dell’obbligo di firma in caserma.

I guai per la coppia erano iniziati con un’indagine della Guardia di Finanza, definita «Acuo», parola latina che significa «affilare», che rimanda alla ditta degli imprenditori, l’«Affilatura Albese» di Mussotto d’Alba, specializzata in affilature di strumenti e utensili. Borgotallo e Rinaldi sono accusati di una maxi evasione fiscale e di estorsione nei confronti di un ex dipendente, che sarebbe stato costretto a intestarsi la ditta ormai sommersa dai debiti sotto minaccia di licenziamento. L’uomo, che aveva sporto querela, si è costituito parte civile con l’avvocato Diego Priamo. In cinque anni (dal 2012 al 2016), gli indagati non avrebbero dichiarato incassi per 3,2 milioni di euro, evadendo oltre un milione di euro. Il processo è stato radicato al tribunale di Cuneo in quanto a Borgo San Dalmazzo è stato stipulato l’atto notarile di cessione delle quote.

“La cessione delle quote societarie, avvenuta con atto notarile con la partecipazione di professionisti avvocati e commercialisti rappresentava un’ipotesi di elusione fiscale finalizzata a ottenere una diversa e minore imposizione fiscale, così consentendo la prosecuzione dell’attività aziendale gravata da tasse e imposizioni varie”, commenta il legale degli imprenditori Roberto Ponzio, che aggiunge: “contestiamo però fermamente la sussistenza del reato di estorsione; secondo noi non vi è stata costrizione, ma adesione a quanto prospettato, giacché la stessa parte offesa originariamente denunciava un raggiro ai propri danni, quindi un’ipotesi di truffa, e solo successivamente parlava di minacce e costrizioni liberandosi così delle sanzioni tributarie di cui era diventato corresponsabile. Il ruolo di Luciana Rinaldi, poi, è del tutto marginale e meritava una diversa valutazione. Presenteremo appello confidando in una riforma della sentenza di primo grado.”

Adriana Riccomagno

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