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I fronti caldi dell’Unione europea

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo 1

Non è da oggi che l’Unione europea è sotto attacco; lo è stata in modo crescente in questi ultimi tempi da parte dei movimenti nazionalpopulisti diffusisi un po’ ovunque, ma lo è particolarmente in questa vigilia natalizia, non proprio serena per le Istituzioni europee.

I loro massimi responsabili lasceranno gli incarichi nel corso dell’anno prossimo, ma non prima di provare a dare una risposta ad alcune urgenze che la stanno pressando da più parti.

Al Consiglio europeo i capi di stato e di governo, riuniti a Bruxelles giovedì e venerdì scorso, si sono trovati sul tavolo l’irrisolta grana di Brexit, le divisioni dei partner europei in sedi multilaterali (come nel caso del “Compact global for migration” e della Cop 24 in Polonia sul cambiamento climatico), gli sforamenti alle regole finanziarie dell’Italia, alla quale si aggiungerà la Francia, vittima di un nuovo attacco terroristico che non lascia tranquilla l’Europa.

Superfluo ricordare che molto spazio, nella sala del Consiglio e nei corridoi, è stato destinato alla storia infinita di Brexit, un azzardo del partito conservatore britannico con il referendum del 2016, di cui lo stesso partito è stato la prima vittima, trascinando nella confusione tutta la Gran Bretagna, la sua economia e il suo paesaggio politico, partito laburista compreso.

I risultati di quasi due anni di negoziato hanno visto la Gran Bretagna perdente su tutta la linea, con un’Unione europea miracolosamente compatta, ma anche preoccupata per il proprio futuro se, come sembrerebbe, la procedura di divorzio dovesse concludersi il prossimo 29 marzo senza accordo. E a nulla è valso per ora la costanza di Theresa May nel vano tentativo voler salvare il progetto di accordo raggiunto a Bruxelles rinegoziandolo e cercando, senza trovarlo, un appoggio presso i principali leader europei, tra i quali l’Italia non è stata nemmeno presa in considerazione.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

È vero che l’Italia al Consiglio europeo aveva altre gatte da pelare, in particolare una trattativa ai limiti del surreale per evitare di incappare in una procedura di infrazione per lo sforamento del deficit (in realtà per il non contenimento del debito pubblico in continua crescita).

La clamorosa marcia indietro dal 2,4%, quota da cui non arretrare di un millimetro, a un più ragionevole 2,04% – trovata furbetta e ingannevole per gli elettori – non è per il momento giudicata una riduzione sufficiente né regge il paragone con la situazione francese che, seppure in difficoltà, presenta parametri economici e finanziari non comparabili a quelli dell’Italia.

Su quel fronte caldo adesso il tempo stringe: il 19 dicembre la Commissione europea deve prendere una decisione e comunicarla al Consiglio dei ministri dell’eurozona, anche più severi della stessa Commissione sul comportamento fuori misura dell’Italia.

Due fronti, quello di Brexit e dell’Italia, che hanno fatto passare in secondo piano altri temi importanti, come il rinnovo per sei mesi delle sanzioni alla Russia (nonostante le sparate a salve di Salvini), l’imminente entrata in vigore dell’accordo di partenariato con il Giappone, il confronto sempre più aspro sul bilancio Ue 2021-2027, l’ennesimo rinvio di una riposta convincente al problema dei flussi migratori e la conferma delle priorità europee per contrastare il cambiamento climatico.

Molta carne al fuoco, di nuovo molto fumo ma poco arrosto in questa Unione europea dilaniata da interessi divergenti e in difficoltà a restare in linea di galleggiamento e mantenere la rotta nel mare in tempesta del mondo di oggi.

Franco Chittolina

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