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Scopriamo perché il cane da tartufi in piemontese è detto taboj (pronuncia: tabui)

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Taboj: Cane meticcio, figlio di razze incrociate di piccola-media taglia, indicato per la ricerca di tartufi.

Continuiamo a parlare di tartufo, una bella metafora delle nostre colline: biodiversità, naturalità, tradizione e cultura materiale fanno sì che questo frutto sia il più prezioso di tutti. Un giorno Marilyn Monroe scrisse a Giacomo Morra, il Re dei tartufi, di non aver mai assaggiato niente di più gustoso ed eccitante: a lei il mio grazie particolare per il piacere che mi ha procurato. Sua devota e affezionatissima Marilyn. È tutto un fiorir di leggende e testimonianze di prestigiosi estimatori.

Al calare delle notti d’autunno il cercatore di tartufi (trifolao) si incammina tra le brume di tortuosi boschi, per cominciare la ricerca insieme al suo fedele cane, comunemente chiamato taboj (pronuncia: tabui). Ed è qui che arriviamo al dunque. Sì, perché se possiamo godere di un così prezioso prodotto è grazie all’olfatto dei cani che assistono fedelmente l’uomo; ma quelli da tartufo non sono affatto cani qualunque! Vi è un percorso che li porta ad essere dei veri e propri segugi del fungo più prezioso al mondo. Il taboj è un cane di taglia non troppo grande, un cane agile, rigorosamente meticcio e con un gran fiuto.

Il percorso di addestramento è vario, mirato e comincia sin dalla nascita del cucciolo. Infatti il trifolao comincerà ad inumidire con dell’olio tartufato le mammelle presso le quali il taboj andrà a nutrirsi nei primi giorni di vita, cosicché possa associare per sempre l’odore del tartufo a qualcosa di materno e ancestrale.

L’etimo è una perenne diatriba: un’ipotesi è la base onomatopeica BO imitativa del verso del cane; un’altra guarda al celtico TABHAN, che significa cane, accostato allo spagnolo antico taba (ossicino) e alla lingua degli zingari, dove tabà è il cane da guardia. Il taboj è un animale così fedele da essere diventato di un modo di dire, me taboj, per indicare un tenero amante umano.

La saggezza popolare ha anche coniato un modo di dire che testimonia la simbiosi tra uomo, natura e condizioni metereologiche: S’o pieuv ‘nsȓ giavele ‘ȓ trifoȓe veno bele (se piove sui covoni, i tartufi diventano belli). E quando nella stessa buca si trovano due trifoȓe binele (tartufi gemelli), doppia ricompensa anche all’alleato taboj!

Paolo Tibaldi

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