PENSIERO PER DOMENICA – SECONDA TEMPO ORDINARIO – 20 GENNAIO
Cominciamo il tempo ordinario nel segno del matrimonio, anzi del banchetto nuziale. Tante volte, nella Bibbia, si fa riferimento a esso: sposarsi è cominciare una vita nuova. Isaia (62,1-5) legge il ritorno in patria degli esuli di Babilonia come l’inizio di un nuovo legame tra Dio e il suo popolo. Giovanni (2,1-11) colloca a Cana, durante uno sposalizio, il primo segno messianico di Gesù, che trasforma l’acqua in vino.
Colpisce la voglia di far festa presente in tante pagine della Bibbia e anche nelle storie del nostro passato. Oggi preferiamo stordirci, invece di fare festa, di guardare avanti, di costruire il nostro futuro. Ci manca un Isaia, capace di infondere entusiasmo a chi, a mani nude, cominciava a ricostruire Gerusalemme distrutta. Noi, con le nostre tecnologie avveniristiche non riusciamo a cominciare a ricostruire un ponte crollato o le case terremotate. Forse non è un problema di mezzi, ma di carica interiore e di motivazioni. Invece del senso di festa dominano rabbia, rancore e paura: abbiamo cantine piene, ma ci manca il vino della gioia e della speranza. Anche le nozze stanno perdendo la loro carica simbolica, visto che non ci si sposa quasi più, a parte i matrimoni-immagine di qualche Vip.
Gesù credeva nella vita e nell’amore. Per questo alle nozze di Cana aveva preso parte anche lui, con la madre e i discepoli. A differenza di Giovanni Battista, noto per il suo ascetismo, Gesù amava i banchetti, stare con la gente, fare festa. A quei tempi poi una festa di nozze non si esauriva nello spazio di un pomeriggio, ma durava parecchi giorni: questo spiega perché a un certo punto era venuto a mancare il vino. Il miracolo di Gesù, sia per la quantità (circa 600 litri!) sia per la qualità del vino, è un segno che indica l’abbondanza dei doni di Dio: non solo materiali, ma relazionali e spirituali. Ma per ricevere e fare nostri questi doni dobbiamo «fare quello che lui ci dirà».
Doni da condividere. L’apostolo Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi (12,4-11) ci dà un’altra lezione formidabile: i doni di Dio vanno condivisi. Il motivo è chiaro: «A ciascuno è data una manifestazione dello Spirito per il bene comune». Non è possibile né fare festa né ricostruire in una logica di divisione e di scontro, ma soltanto unendo le forze, mettendo in comune e a disposizione della collettività i propri talenti. Questo vale sia a livello ecclesiale sia a livello sociale. Come nelle tradizioni di molti nostri paesi, si possono fare delle belle feste sui ponti, non nei fossati o sui muri!
Lidia e Battista Galvagno