Abbiamo cantine piene ma ci manca il vino della gioia

Abbiamo cantine piene ma ci manca il vino della gioia
Le nozze di Cana, tela del XV secolo dei reali spagnoli (National gallery of art, Washington).

PENSIERO PER DOMENICA – SECONDA TEMPO ORDINARIO – 20 GENNAIO

Cominciamo il tempo ordinario nel segno del matrimonio, anzi del banchetto nuziale. Tante volte, nella Bibbia, si fa riferimento a esso: sposarsi è cominciare una vita nuova. Isaia (62,1-5) legge il ritorno in patria degli esuli di Babilonia come l’inizio di un nuovo legame tra Dio e il suo popolo. Giovanni (2,1-11) colloca a Cana, durante uno sposalizio, il primo segno messianico di Gesù, che trasforma l’acqua in vino.

Colpisce la voglia di far festa presente in tante pagine della Bibbia e anche nelle storie del nostro passato. Oggi preferiamo stordirci, invece di fare festa, di guardare avanti, di costruire il nostro futuro. Ci manca un Isaia, capace di infondere entusiasmo a chi, a mani nude, cominciava a ricostruire Gerusalemme distrutta. Noi, con le nostre tecnologie avveniristiche non riusciamo a cominciare a ricostruire un ponte crollato o le case terremotate. Forse non è un problema di mezzi, ma di carica interiore e di motivazioni. Invece del senso di festa dominano rabbia, rancore e paura: abbiamo cantine piene, ma ci manca il vino della gioia e della speranza. Anche le nozze stanno perdendo la loro carica simbolica, visto che non ci si sposa quasi più, a parte i matrimoni-immagine di qualche Vip.

Abbiamo cantine piene ma ci manca il vino della gioia
Le nozze di Cana, tela del XV secolo dei reali spagnoli (National gallery of art, Washington).

Gesù credeva nella vita e nell’amore. Per questo alle nozze di Cana aveva preso parte anche lui, con la madre e i discepoli. A differenza di Giovanni Battista, noto per il suo ascetismo, Gesù amava i banchetti, stare con la gente, fare festa. A quei tempi poi una festa di nozze non si esauriva nello spazio di un pomeriggio, ma durava parecchi giorni: questo spiega perché a un certo punto era venuto a mancare il vino. Il miracolo di Gesù, sia per la quantità (circa 600 litri!) sia per la qualità del vino, è un segno che indica l’abbondanza dei doni di Dio: non solo materiali, ma relazionali e spirituali. Ma per ricevere e fare nostri questi doni dobbiamo «fare quello che lui ci dirà».

Doni da condividere. L’apostolo Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi (12,4-11) ci dà un’altra lezione formidabile: i doni di Dio vanno condivisi. Il motivo è chiaro: «A ciascuno è data una manifestazione dello Spirito per il bene comune». Non è possibile né fare festa né ricostruire in una logica di divisione e di scontro, ma soltanto unendo le forze, mettendo in comune e a disposizione della collettività i propri talenti. Questo vale sia a livello ecclesiale sia a livello sociale. Come nelle tradizioni di molti nostri paesi, si possono fare delle belle feste sui ponti, non nei fossati o sui muri!

Lidia e Battista Galvagno

Banner Gazzetta d'Alba