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Il termine piemontese della settimana è “Pitolé”, scopriamone le origini

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ABITARE IL PIEMONTESE

Pitolé: Beccare, piluccare, spizzicare, attingere poco cibo di tanto in tanto

Pitòst ch’o vansa ch’a s-ciòpa ȓa pansa! (piuttosto che avanzi, mi esploda la pancia!) – ecco una di quelle esclamazioni che certamente non saranno mancate in questi giorni di convivialità all’insegna delle famose “gambe sotto al tavolo” per rimarcare il piacere di alcuni buongustai.

Il giorno stesso o i giorni appresso alla Grande Festa, le opzioni sono due: declinare ogni qualsivoglia invito, restando a casa per smaltire l’ingolfamento di stomaco, oppure accettare di andare a terminare gli avanzi in ulteriore compagnia. Del resto chi ha invitato, per convinvere avrà sicuramente utilizzato lo slogan: Pitòst ch’o vansa ch’a s-ciòpa ȓa pansa! Ma nella migliore delle ipotesi la risposta sarà: m-nìma, vah! ma mach peȓ pitolé cheicòs! (veniamo, ma soltanto per piluccare qualcosa). Bene, si finirà per terminare il pasto pentiti della quantità di cibo ingurgitata –  non di meno mandarini e noccioline americane – e finire stravaccati e assopiti sul divano altrui.

Pitolé (la cui “o” si legge “u”), un verbo che indica il beccare come gli uccellini, spizzicare cibo qua e là, senza impegnare troppo il piatto, un po’ per non sentirsi in colpa, un po’ per non dare nell’occhio; ma servirsi, sovente proprio con le mani, di uva, fichi secchi e leccornie avanzate o preparate per l’occasione.

Un sinonimo di questa parola, altrettanto utilizzato, è pitoché. La sostanza è la medesima, così come l’etimo, giacché la radice ci riporta al pito, ossìa il tacchino che attinge il proprio becchime con gesti repentini, quasi furtivi; del resto questo modo di cibarsi è comune a tutto il pollame del quale avvolgerete le uova, magari un giorno lontano, con questa stessa pagina di Gazzetta.  Proprio come la parola di oggi, anche la rubrica vuol essere uno spizzico… di piemontese. E buon anno!

Paolo Tibaldi

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