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Tanaro da salvare. L’emergenza è l’ailanto

L’ecosistema è stato banalizzato e si è indebolito, venendo meno il concetto di biodiversità

TANARO TESORO DA SALVARE Prosegue l’intervista con Edmondo Bonelli, naturalista, agronomo specializzato in viticoltura e grande frequentatore del fiume, vista la sua passione per la pesca. Bonelli ha condotto importanti ricerche dal punto di vista paleontologico, fino alla scoperta dei reperti fossili emersi dal fiume: il mastodonte di Verduno e la balenottera di Santa Vittoria, oggi esposti al museo Eusebio di Alba.

Bonelli, parliamo della vegetazione: quale evoluzione si è registrata?

Se il Tanaro è come il Grand canyon
Edmondo Bonelli

«La situazione non è delle migliori. Negli anni lo spazio del fiume si è ridotto, soprattutto per i prelievi di ghiaia e sabbia, il cui impatto si è ora ridotto per la crisi dell’edilizia. La conseguenza è che il corso d’acqua si è trovato costretto entro i suoi argini e allo stesso tempo si è abbassato sempre di più, con una continua erosione del fondo. È un processo ormai iniziato, che renderà l’area del Tanaro sempre più simile a un canyon, con pareti laterali molto elevate e l’acqua nel mezzo. Così anche la tipica vegetazione fluviale – caratterizzata da uno strato boschivo umido, con alberi come il salice bianco, l’ontano e la farnia – è diventata sempre più rara, a causa di un terreno troppo arido. Per lo stesso motivo, anche l’attività agricola è diminuita, a causa delle sponde poco fertili: oggi sono rimasti i pioppeti. Meglio per le varietà erbacee spontanee, che hanno saputo adattarsi ai cambiamenti con facilità, come le carici e il polygonum».

Sono arrivate varietà di piante non autoctone?

«Dal momento che l’ecosistema locale è stato banalizzato, venendo meno il concetto di biodiversità, l’ambiente è diventato sempre più debole ed esposto a rischi esterni, come la diffusione di insetti e di piante esotiche. La più invasiva è l’ailanto, che è presente in moltissimi punti del fiume e che crea un danno enorme alla vegetazione locale».

Se il Tanaro è come il Grand canyon 3

Che dire degli animali?

«Da questo punto di vista, il quadro è migliore rispetto a quarant’anni fa, perché sono ritornate alcune specie, come le rondini, che erano scomparse a causa degli insetticidi chimici. Fino agli anni ’80, infatti, la chimica era la soluzione a ogni problema in agricoltura: oggi, oltre alle aziende che si stanno avvicinando al biologico, c’è in generale una maggiore consapevolezza delle problematiche ecologiche e anche maggiori controlli. Meno positivo appare l’arrivo del cormorano, che è stanziale sul nostro fiume e che fa incetta di pesci. È un buon segnale, infine, il ritorno della classica fauna boschiva, con fagiani, caprioli, cinghiali e qualche esemplare di lupo sceso dalle Langhe, che non va considerato un nemico, dal momento che è utile per ristabilire l’equilibrio tra le diverse specie».

f.p.

Emozione mastodonte

Tra il 2010 e il 2011, il naturalista ha rinvenuto a Verduno i resti fossili di un grande mammifero risalente a sei milioni di anni fa e a Santa Vittoria quelli di una balenottera la cui esistenza è ancora più datata

«Un’emozione incredibile», così Edmondo Bonelli ricorda la scoperta del mastodonte di Verduno e della balenottera di Santa Vittoria, i due fossili emersi dal Tanaro tra il 2010 e il 2011. Oggi sono esposti al museo Federico Eusebio di Alba e raccontano di un’epoca in cui il Tanaro era popolato da mammiferi di grandi dimensioni. Del mastodonte, che risale a 6 milioni di anni fa, purtroppo, si possono vedere solo alcune parti, perché le altre sono andate perdute nel 2012, a causa di lavori non autorizzati sul sito, prima che il museo albese e l’università di Torino potessero concludere lo scavo. Altre parti, invece, sono ancora in attesa di essere restaurate. Ha avuto un destino migliore la balenottera, che risale a 8 milioni di anni fa e che è stata riportata alla luce nella sua completezza.

Se il Tanaro è come il Grand canyon 1

È una passione, quella per la paleontologia, che il naturalista coltiva da sempre: «Devo molto a Oreste Cavallo, che ha condotto importanti studi su questo fronte. Appassionato di pesca, ho iniziato a osservare il fiume anche dal punto di vista paleontologico, concentrandomi sui tratti caratterizzati da una marna palustre. Fino a quando un giorno, a Verduno, ho visto emergere il femore di un grosso mammifero da un tratto di Tanaro lasciato scoperto dalla secca: era il mastodonte. Mi sono poi concentrato sulla zona di piana Biglini, dove ho trovato diversi fossili marini, fino alla bellissima scoperta della balenottera».

f.p.

ATTENZIONE ALL’USO DELLE SOSTANZE CHIMICHE NELLE COLTIVAZIONI DI PIANURA E NEI VIGNETI

A proposito dell’uso di prodotti chimici, quanto influisce la viticoltura sullo stato di salute del fiume?

Lo chiediamo ancora a Edmondo Bonelli: «Con il nostro microclima umido il problema della viticoltura è che si rende indispensabile l’uso di prodotti specifici. Il biologico è possibile, ma è molto impegnativo dal punto di vista economico, oltre che rischioso. La strada da intraprendere è cercare di ricorrere alla chimica solo quando è strettamente necessaria, così da non scaricare sostanze nocive nei terreni. Rispetto al rapporto tra sostanze usate in viticoltura e stato delle acque del Tanaro, ci sono stati danni in passato, ma la fortuna del fiume è che le nostre colline sono molto resilienti: si tratta, cioè, di un terreno che trattiene. Piuttosto, la maggior quantità di prodotti nocivi scaricati nel Tanaro deriva dai seminativi usati nella pianura cuneese».

f.p

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