Una società bisognosa di Dio ma che è rimasta senza preti

GIORNATA DEL SEMINARIO Il 27 gennaio in tutte le parrocchie della Granda, si celebrerà la Giornata del Seminario. Il Seminario non è fine a sé stesso, ma forma coloro che saranno i preti di domani. Pertanto, vogliamo riflettere su questo importante e insostituibile ministero all’interno della Chiesa, rispondendo a due domande.

PERCHÉ NON CI SONO PIÙ SACERDOTI?

I nostri paesi, le comunità cristiane, le persone in genere hanno ancora bisogno di preti? Se fossimo franchi, salvo qualche eccezione, risponderemmo: «Mah! Forse il prete non serve più, è diventato insignificante nel contesto, nella cultura in cui viviamo. Serve per i funerali, per i Battesimi, la prima Comunione e la Cresima dei figli ma, per il resto, è inutile». Questa lettura potrebbe sembrare troppo pessimista ma, alla luce dei fatti, bisogna ammettere che il prete non è più una figura socialmente rilevante. E pochissimi sono quelli che vogliono diventarlo: ci sono cinque seminaristi per cinque diocesi con 500mila abitanti.

Oggi, non si può giungere alla decisione di fare il prete sulla base dei bisogni e degli apprezzamenti della società, che non è ostile ma indifferente. Il contesto odierno è disposto a riconoscere un ruolo al sacerdote: colui che battezza, fa i funerali, fa sposare le persone, tiene bene la chiesa, fa giocare i bambini, va a trovare gli anziani; ma non è disposto a riconoscergli un senso. Il prete è colui che fa delle cose, magari utili, ma non può essere una persona che può aiutarmi a vivere la mia vita, che si gioca su categorie a lui sconosciute. Stando così le cose, il loro numero è destinato a diminuire. Tuttavia, se è vero che la relazione con il contesto attuale spegne in un giovane il desiderio di diventare prete, vi è un’altra relazione in grado di accendere e sostenere tale aspirazione.

Una società bisognosa di Dio ma che è rimasta senza preti
Alcuni seminaristi ripresi nei corridoi della facoltà teologica a Napoli.

PER CHE COSA E PER CHI VIVI?

Rispondere alla domanda: «Per cosa vivi?», sarebbe più facile: vivo per divertirmi, lavorare, mangiare, rubare, usare gli altri, fare carriera ecc. Rispondere, invece, al «Per chi vivo?» richiede più tempo, devo pensare. Non è questione che si colloca a livello tecnico, pratico, di usa e getta, bensì è situata sul piano degli affetti e scende nelle profondità costitutive della mia vita.

Per chi vivo? Se sollecitato da questa domanda inizieranno, nella mia mente, a comparire dei volti e mi accorgo subito che, legato a quei volti, c’è il bene, l’affetto che quelle persone mi vogliono e questo affetto, ricevuto e sperimentato, mi spinge a orientare la mia vita verso di loro. A un certo punto la bellezza del bene ricevuto, diventando sempre più maturi e consapevoli, addirittura non ci spinge solo verso coloro che ci vogliono bene, ma anche verso chi non può ricambiare o magari ci fa del male. Per chi vivo, allora? Per le persone che mi vogliono bene, che sento importanti per me e che spero si accorgano della mia esistenza. In questo ricevere e restituire si pone la risposta.

Nella realtà non è facile tutto questo. Non solo perché bisogna imparare i canali attraverso i quali esprimere il bene che vogliamo ma, prima ancora, perché bisogna imparare a ricevere, lasciandoci raggiungere dal bene. Sembra assurdo e invece è più difficile riceverlo che imparare a donarlo, perché nella misura in cui mi sento raggiunto dal bene, questo bene ricevuto mi spinge a far diventare la mia vita un’offerta grata, senza pretese, agli altri, perché mi accorgo che sto ricevendo più di quanto do e non riesco a ricambiare per tanto che mi impegni.

Perché, allora, diventare prete? Perché lasciandomi raggiungere dalla persona di Gesù che mi vuole bene, mi comprende e perdona, a lui, con gratitudine voglio offrire la mia vita. La comunione con lui mi spinge a cercare la comunione con gli altri, accogliendoli e volendo loro bene così come sono.

Ecco dove risiede il motivo per il quale anche oggi, senza paura del contesto nel quale viviamo e del futuro del quale ovviamente non disponiamo, si diventa preti. Ho ricevuto Signore, da te, la vita e la salvezza, senza merito alcuno; ora, con infinita gratitudine per quanto mi hai dato, mi offro a te, nel contesto in cui mi trovo, e faccio di tutto affinché anche gli altri si dispongano a lasciarsi raggiungere da te o Signore, che tutti stai cercando, in modo che sentendosi da te raggiunti, capiti e amati, possano a loro volta chiederti in che modo offrirti la vita, volendo bene agli altri. È qui che nasce e si sostiene ogni vocazione, anche quella al presbiterato.

don Edoardo Olivero

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