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In Piemonte sta rallentando la spinta a crescere

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IRES Il Piemonte sta per entrare in un nuovo periodo di crisi? Una domanda a cui è difficile rispondere in una fase di passaggio, a metà tra la ripresa del 2017 e un 2018 che ha disatteso le aspettative, per lasciare spazio a un 2019 con segnali di rallentamento. Da questo assunto si muove la relazione annuale di Ires Piemonte, l’Istituto di ricerche economiche e sociali con sede a Torino, presentata sabato 16 a Banca d’Alba.

Il primo elemento è rappresentato dal Pil, il prodotto interno lordo del Piemonte, che nel 2018 è cresciuto di appena l’1,1 per cento, rispetto all’incremento dell’1,6 previsto. Anche i consumi sono stati rivisti al ribasso, dallo 0,9 per cento allo 0,6 di crescita. Alla luce di questi numeri, il rischio è di una stagnazione, di un arresto dello sviluppo economico. Lo dicono i primi segnali riguardo al 2019: si prevede un forte rallentamento del Pil regionale, con una crescita dello 0,4 per cento.

Se è vero che i fallimenti delle imprese piemontesi continuano a diminuire e le loro performance economiche sono in miglioramento, non si può dimenticare che dal 2007 al 2017 la produzione industriale è scesa di 5,1 punti. E se prima della crisi il tasso di disoccupazione era del 4,2 per cento, oggi ha raggiunto l’8,2 (ancora al di sotto di due punti della media nazionale). È positivo, però, il tasso di occupazione, che si aggira su un livello del 65 per cento, con la crescita di un punto rispetto al 2017.

Ma ci sono due fenomeni di cui non si può non tenere conto: il progressivo calo demografico, anche per la diminuzione dei flussi migratori, e l’aumento del 62 per cento degli ultraottantenni. In base a questi elementi, è evidente come la forza lavoro piemontese sia profondamente cambiata.

IL CUNEESE RESISTE

In questo contesto, Cuneo lancia segnali positivi: dal punto di vista della popolazione, è la provincia più giovane del Piemonte, con un’età media di 45,5 anni, rispetto ai 46,6 della media regionale. L’economia è solida, con un tasso di disoccupazione più basso rispetto al resto della regione (6,3 per cento). Ha spiegato Il ricercatore Maurizio Maggi: «I punti di forza sono il settore primario e secondario, grazie alla filiera agroalimentare e al turismo, ma anche alle componenti più avanzate del manifatturiero, mentre permane una debolezza nel terziario e nei pubblici esercizi».

Il riconoscimento Unesco è stato per la nostra area un’opportunità, ma servono strategie diversificate per ognuna delle zone: «Se la bassa Langa e il Roero sono stati sviluppati al massimo, in certi casi persino condizionati, l’alta Langa presenta potenzialità oggi ancora poco valorizzate». Il problema più grave? I trasporti, non soltanto a causa dell’Asti-Cuneo, ma anche della carenza di treni: Alba è tra le aree della provincia più danneggiate.

Francesca Pinaffo

La stagnazione parte da lontano

Marco Sisti è direttore di Ires Piemonte. Con lui parliamo dell’arco involutivo percorso dalla comunità locale negli ultimi decenni.

In Piemonte sta rallentando la spinta a crescere
Il direttore di Ires Piemonte Marco Sisti e la ricercatrice Carla Nanni.

Partiamo dal Pil: molte fonti esprimono preoccupazione. Che cosa dobbiamo attenderci, Sisti?

«La domanda che dobbiamo porci è: quanto sono solide le nostre imprese? In un territorio come quello piemontese e cuneese potremmo rispondere: “molto”; eppure l’economia locale dipende in stretta misura dall’andamento dei contesti sociopolitici e commerciali internazionali, che oggi appaiono incerti. Mentre tutti formulavano ipotesi tendenzialmente ottimistiche, Ires a giugno dello scorso anno aveva già espresso preoccupazione per una tendenza alla stagnazione del panorama economico piemontese. Il rallentamento non nasce all’improvviso, ma negli ultimi 25 anni».

Che cosa intende?

«A partire dalla fine degli anni ’80 alcuni settori chiave come quello manifatturiero hanno cominciato a mostrare segni di fragilità. L’onda lunga di questo declino mostra oggi le sue ripercussioni. Il Piemonte si è modificato adattandosi al contesto, ad esempio maturando eccellenze nel settore dei servizi. Eppure, questa crescita si manifesta in maniera ipersettoriale, concentrata esclusivamente sul fronte turistico. Il settore agroalimentare risente anch’esso della domanda esterna in contrazione. Infine, dobbiamo considerare come negli ultimi vent’anni si sia indebolito il tessuto connettivo delle imprese, la struttura stessa della rete».

Ma una società non è composta soltanto di produttività e compravendite…

«Sì, in altri settori il territorio dimostra notevole resilienza. Prendiamo il Cuneese. Negli ultimi anni registriamo un importante investimento sul fronte dell’istruzione. Qui i dati mostrano un andamento dinamico, orientato al futuro e in grado di attrarre talenti, anche se permangono differenze tra uomini e donne, tra italiani e stranieri. Pure la sanità mostra performance soddisfacenti. D’altra parte, non possiamo ignorare come il progressivo invecchiamento demografico ponga sfide molto delicate dal punto di vista dell’assistenza e della cura».

Investendo sulla produttività le comunità hanno danneggiato l’ambiente. È così?

«A causa del suo sviluppo rurale pervasivo, la provincia di Cuneo può essere considerata il territorio meno green della regione. Le imprese già risentono del cambiamento climatico: le stesse aziende vitivinicole del Barolo subiscono gli effetti di una vendemmia precoce. Una delle sfide più urgenti a livello di comunità sarà quella di investire in sistemi di produzione energetica rispettosi dell’ambiente».

Matteo Viberti

L’ospedale di Verduno come opportunità

Un altro aspetto fondamentale per valutare la qualità di  un territorio è la sanità,  sul quale è intervenuta la ricercatrice Gabriella Viberti: «Negli ultimi anni, la Granda ha cambiato i suoi servizi sanitari, basti pensare alla decisione di realizzare l’ospedale di Verduno. In generale, è un quadro che presenta luci e ombre». Tra i punti deboli c’è il fatto che le Asl cuneesi, in particolare la Cn2, continuino ad avere  una spesa sanitaria pro capite più bassa rispetto alla media regionale, ma esiste anche un problema nello sviluppo delle cure domiciliari: «Tra il 2012 e il 2017, i casi di cure domiciliari ogni 10mila abitanti sono diminuiti nell’Asl Cn1 (passando da 191 a 169) e sono rimasti invariati nella Cn2 (da 131 a 132). Interessante anche il gradimento  per i servizi sanitari espresso dai cittadini negli ultimi vent’anni: la Granda è in linea con il Piemonte, con una crescita costante fino agli anni della crisi, seguita da un periodo di declino e da un moderato recupero (da tre anni a Torino e da due anni a Cuneo). Secondo il ricercatore Maurizio Maggi, «è possibile che i periodi di crisi corrispondano alla trasformazione:  il nuovo ospedale, perciò, potrebbe essere un’opportunità».

p.f.

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