Nuova condanna per ex professore e la moglie

Caso Ceste. Il marito ricorre in appello 1

Si è concluso ieri con una condanna a un anno e sei mesi in primo grado il secondo processo nei confronti degli albesi Vincenzo Annucci e Mariangela Dacomo: i due erano già stati condannati in via definitiva per circonvenzione d’incapace e poi nuovamente imputati per lo stesso titolo di reato davanti al Tribunale di Asti.

Il primo processo si era concluso nel 2013 con la sentenza della Corte di Cassazione che confermava la condanna a due anni e otto mesi di reclusione inflitta nel giudizio di Appello per Annucci, ex professore del liceo scientifico “Cocito” di Alba, e Dacomo, la moglie. Le condizioni della vittima, Giulia Luisa Ademollo, già preside del “Cocito”, senza parenti prossimi, da tempo si erano degradate, con l’avanzare dell’età e della demenza senile: non più in grado di badare a se stessa, viveva in un “ciabot” a Montelupo Albese circondata da animali in stato di abbandono o addirittura già morti. La coppia si era occupata inizialmente di lei, per poi ricevere in donazione un appartamento della preside in Alba, e ritirare 250mila euro dal conto corrente. Per effetto della condanna in sede penale i due erano stati tenuti al risarcimento dei danni, versando una provvisionale di 60mila euro, anche per poter evitare il carcere e beneficiare dell’affidamento in prova ai servizi sociali, nonché alla restituzione dei 250mila euro.

La preside venne in seguito ricoverata in una casa di riposo, dove morì a 95 anni il 5 novembre 2016. Dopo la morte, il parroco di Montelupo Albese don Stefano Valfrè si recò dal notaio con un testamento col quale la donna destinava tutti i propri beni alla parrocchia e al Cottolengo. A quel punto emergeva un altro testamento, un olografo – scritto cioè per intero di pugno del testatore -, di qualche mese successivo a quello esibito dal sacerdote, col quale i coniugi Annucci e Dacomo – già condannati in via definitiva – venivano nominati eredi universali della donna; un testamento successivo ma mai menzionato durante il primo processo. Pare quindi che i due si stessero preparando per riprendersi non solo i beni dei quali si erano impossessati, già oggetto del primo giudizio, ma anche la somma già versata all’anziana a titolo di risarcimento. Il sacerdote, assistito dall’avvocato Stefano Campanello, aveva presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Asti; il sostituto procuratore Donatella Masia, che già aveva sostenuto l’accusa nel primo processo, aveva quindi radicato un nuovo procedimento nei confronti dei coniugi, difesi dall’avvocato Giorgio Scanavino.

«Per valutare la portata della sentenza dovremo attendere che sia depositata nel termine di 30 giorni ma riteniamo che la condanna sia ingiusta e faremo appello. I miei assistiti sostengono da sempre, contrariamente all’ipotesi accusatoria basata sulla circonvenzione d’incapace, di aver saputo dell’esistenza del testamento solo dopo la morte della professoressa: questo non era in loro possesso ma era depositato dal notaio Vincenzo Toppino. I miei assistiti ne sono appunto venuti a conoscenza dopo il decesso di Ademollo, e Mariangela Dacomo ne ha chiesto la pubblicazione perché era lei l’erede designata», commenta il legale.

Adriana Riccomagno

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