Anche per l’Unione europea esiste una quota 100, che qualcuno vorrebbe si traducesse con una sua pensione anticipata. Per altri quota 100 è l’altitudine da conquistare tra poco meno dei 100 giorni che ci separano dalle elezioni del 26 maggio per il Parlamento europeo, indicate da molte parti, mentre si moltiplicano i sondaggi, come il “giorno del giudizio” dal quale dipenderebbe il futuro dell’Europa.
Non sono pochi quelli che vedono nella consultazione di maggio un bivio storico per l’Ue, esposta alla tentazione di derive sovraniste o chiamata a rilanciare un progetto di integrazione economica arrivato al capolinea dopo settant’anni di buoni risultati, ma insufficienti per progredire verso un’unione politica.
In Italia vi è anche chi ha paragonato le future elezioni europee a quelle italiane del 1948, quando in gioco era la collocazione del nostro Paese nell’area della democrazia occidentale. Esagerazioni a parte, è praticamente unanime la convinzione che le elezioni di maggio e il semestre che seguirà segneranno una tappa importante per il futuro dell’Unione e del suo mezzo miliardo di cittadini.
Gli sviluppi per l’Ue si manifesteranno in due tempi, tra loro strettamente connessi: in occasione del voto e, subito, dopo nel ricambio dei massimi vertici istituzionali comunitari.
In occasione del voto, quando i partiti presenteranno programmi e candidati, senza necessariamente annunciare le possibili alleanze che ne deriveranno in base ai risultati elettorali e alle possibilità di accedere ai posti di comando nelle istituzioni Ue.
Ad oggi i sondaggi, per quanto valgono, prevedono una significativa perdita di seggi per i partiti tradizionali (ad eccezione dei liberali) e contenuti progressi per le forze sovraniste e populiste, senza che queste siano assicurate di una maggioranza. Quello che già sembra probabile è il tramonto di una maggioranza autosufficiente dell’alleanza tra popolari e socialisti che tradizionalmente si spartivano la presidenza del Parlamento, condizione che oggi per realizzarsi avrebbe bisogno del soccorso dei liberali, meglio ancora se anche dei verdi.
Sull’altro versante, quello a dominante di destra sovranista, le aggregazioni non si annunciano facili, vista la difficoltà a tenere insieme una “Lega” internazionale se ciascuno è geloso della sua “Lega” locale.
Il gioco si complica ulteriormente in vista del ricambio dei vertici istituzionali nel secondo semestre dell’anno, quando bisognerà spartirsi poltrone importanti come le presidenze del Parlamento europeo, della Commissione, del Consiglio europeo e della Banca centrale europea. A quel punto peseranno i numeri prodotti dalle alleanze fra i partiti e gli equilibri tra i paesi Ue, per i quali dovranno essere prese in considerazione anche inevitabili alternanze rispetto a incarichi della passata legislatura.
Difficile che in questo contesto possa ripetersi il “bottino” italiano con le presidenze alla Banca centrale di Mario Draghi e di Antonio Tajani al Parlamento e con il ruolo di alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, affidato a Federica Mogherini.
Tutt’altro lo scenario che si annuncia dopo le elezioni di maggio, quando per l’Italia potrebbe pesare anche la situazione di isolamento del governo presieduto da Giuseppe Conte e fortemente segnato dalle ricorrenti intemperanze di Matteo Salvini e, più ancora, di Luigi Di Maio.
Sicura è l’incertezza circa quanto potrà avvenire dopo maggio e non sono i sondaggi in grado di ridurla, per almeno due buone ragioni: che non necessariamente i sondaggi si traducono in voti e che, viste le turbolenze politiche in corso in molti paesi Ue, ancora troppe sono le variabili che possono intervenire. E potrebbero non essere tutte negative per il futuro dell’Unione come si augurano quelli che vorrebbero demolirla.
Franco Chittolina