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Monica: i miei 21 figli mi fanno sentire ricca

8 MARZO NON SOLO MIMOSE

Quarantaquattro anni, sposata da 22, vive col marito Francesco ad Altavilla, nella casa San Luca, dove ha cresciuto una serena famiglia allargata, seguita dalla comunità Papa Giovanni XXIII

LA STORIA Monica Cinghi è sposata da 22 anni. La sua età – 44 anni – ha doppiato il matrimonio, che le ha regalato 21 figli, 4 naturali, gli altri, come dice lei, «accolti», cioè in affido. Forse i numeri nella vita contano, ma nemmeno si può dire bastino a descrivere tanta generosità: alcuni dei ragazzi sono cresciuti da darle nipoti, allargando la grande famiglia che vive sulla collina di Altavilla, ad Alba, nella casa San Luca.

Monica: i miei 21 figli mi fanno sentire ricca

«Se ci sei dentro, ti rendi conto dell’enorme ricchezza», spiega Monica della sua scelta. Eppure, se i numeri danno una prima, essenziale informazione, descrivendo una persona non certo banale, le parole forniscono il quadro di un’esistenza serena e piena, spesa intorno a un pensiero davvero forte. Monica è sposata con Francesco Giordano. «Frequentando la parrocchia della Moretta abbiamo maturato, giovanissimi, il nostro desiderio di missione», racconta la donna, che continua: «abbiamo fatto un’esperienza in Kenya e poi scelto la Tanzania con la comunità Papa Giovanni XXIII. Nel 1997 siamo tornati in Italia, ci siamo sposati, portando con noi Martin, oggi un ragazzo in cerca della sua strada».

Chiara, Samuele, Elia e Marta sono i figli naturali, che insieme agli altri 17 in quasi un quarto di secolo hanno formato una famiglia allargata nel vero senso della parola. Raccontarla sembra più difficile che viverla, se si guarda il viso di Monica. Chi è alle prese con l’esistenza di tutti i giorni e spesso si sente di affogare tra le cose da fare – casa-lavoro-famiglia-figli – si chiede in che modo questa donna dolce, che risponde sempre con un sorriso, possa sostenere tanto impegno.

«Era il nostro sogno, mio e di mio marito. Quando abbiamo incontrato la comunità Papa Giovanni abbiamo capito che l’avremmo realizzato», risponde Monica, senza farsi distrarre dal dettaglio economico. Però, come si tira avanti con 21 figli? «Ci sono gli aiuti, ma l’affido è una ricchezza che si scopre solo vivendola». Significa creare una rete con altre famiglie, che sono in difficoltà e non possono assolvere il proprio ruolo educativo, accettare di crescerne i figli e permettere il distacco, se e quando giunge il tempo.

Ancora Monica, sulla sua giornata-tipo: «Alcuni dei ragazzi sono cresciuti e usciti dalla famiglia. Il mattino, alle 7.30 partono per la scuola i “grandi”: mio marito li accompagna con il pullmino, fermandosi anche a prendere alcuni vicini. I ragazzi sono in grado di scendere a fare colazione, aiutandosi l’un l’altro, senza necessità d’intervento. Ho sempre visto grande solidarietà e nessuna gelosia. Carola, l’ultima arrivata, poco più di un anno e mezzo, resta con me. Poi ci sono le faccende, la spesa, la cucina, due nonne che stirano, il pranzo, le discussioni anche. La sera si è distrutti, ma è un correre da persone felici. E basta guardare i nostri ragazzi per darsi la carica: con tutti i problemi che hanno, ogni giorno si alzano e vivono. Sì, è una grande ricchezza averli con noi». Per Monica, che segue anche il gruppo giovani della parrocchia della Moretta – «perché è importante mantenere spazi personali» –, la fede conta: «La risposta alle nostre domande è sempre nel Vangelo. Basta aprirlo e ascoltare».

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E ha fatto proprio così, Monica – ha ascoltato –, per accogliere Carola, la piccina, nata prematura, idrocefala, abbandonata. «Ci è giunta la richiesta mentre stavamo andando in vacanza: mio marito non era dell’avviso, ma io ho continuato a tenerla in mente. Abbiamo atteso, fatto un incontro con una psicologa che ci ha messi in crisi, finché è stata la piccola Marta, cinque anni, a dire chiaro, una sera: «Valla a prendere, nessun bambino può stare da solo».

Erano le parole che Monica attendeva. Quando Carola è arrivata ad Altavilla aveva 8 mesi e pareva cieca. «Ci siamo subito accorti che ci seguiva con lo sguardo: la sua cecità era depressiva. Ora chiama i fratelli, mamma e papà, dimostrando che l’affetto spesso lenisce le peggiori ferite. Certo, la sua situazione resta difficile, ha bisogno di cure e dobbiamo essere sempre pronti: il suo piccolo cuore potrebbe fermarsi, ma ci rendiamo conto di avere fatto ancora una volta la scelta giusta».

Maria Grazia Olivero

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