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Alba, il Barolo e il Roero: un legame da ripensare

Alba, il Barolo e il Roero: un legame da ripensare

ANALISI Qualche settimana fa, Lorenzo Paglieri, candidato a sindaco di Alba, ha lanciato l’idea di coinvolgere il territorio di Alba nella zona del Barolo, una proposta intrigante, ma nel concreto poco praticabile. La mia prima reazione è stata scettica e ho pensato che, se la città di Alba negli anni Sessanta è rimasta fuori dalla zona del Barolo, è stata anche colpa di alcuni suoi attori di allora. Non solo i produttori e i viticoltori, ma anche gli amministratori dell’epoca che non hanno capito la valenza di un coinvolgimento del genere. In un primo momento, ho accantonato l’idea, condividendo la reazione del Consorzio del Barolo e Barbaresco, che ho raccolto e raccontato.

In effetti, però, ho continuato a ragionare su questa idea, anche in modo spontaneo. Mi sono venute in mente tante cose e affermazioni. Da un lato, la considerazione espressa più volte che Alba, le Langhe e il Roero sono la copia italiana della Borgogna francese, con la città di Beaune come capitale. Dall’altro la negazione che Alba sia sufficientemente autorevole per giocare il ruolo di capitale dei vini di Langa e Roero. Spesso ho sentito questa cantilena, secondo la quale «Alba non sarebbe in grado di rappresentare i vini del territorio, Alba non si sentirebbe davvero inserita in una zona a forte vocazione vitivinicola».

Tutti appunti sacrosanti, avvalorati dal fatto che spesso Alba ha preso dal territorio circostante più di quanto abbia dato. Viene da chiedersi se sia stata tutta colpa della città o ci possa essere un concorso anche dei paesi e delle zone attorno. Condivido la posizione del Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani quando sostiene che certe scelte spettano ai produttori, i veri responsabili delle decisioni produttive e strategiche relative ai vini del loro territorio.

Nonostante questo, però, vorrei tornare sull’ipotesi di Alba nella zona del Barolo per sottoporre ai produttori un ragionamento più ampio, da valutare con attenzione. Oggi, la città di Alba ha tanti caratteri del vino: sulle sue colline dispone di una superficie vitata invidiabile, quasi mille ettari, un patrimonio viticolo che solo Monforte e Santo Stefano Belbo riescono a superare e pochissimi altri paesi ad avvicinare. Alba ospita la scuola enologica e il corso di specializzazione universitaria in viticoltura ed enologia. Alba partecipa a tante enoteche regionali, organizza dagli anni Settanta un evento come Vinum profondamente legato al vino.

Per quanto concerne i vini Doc e Docg, il territorio di Alba partecipa alle zone di origine dell’Asti e Moscato d’Asti, della Doc Alba, del Barbaresco, di Barbera d’Alba, Dolcetto d’Alba, Nebbiolo d’Alba e, logicamente, delle Doc Langhe e Piemonte. All’appello mancano solo Barolo, Roero e qualche altra più piccola. Barolo e Roero avrebbero i presupposti e i vigneti per aprirsi alla città di Alba. La scelta del come e del quanto è di pertinenza dei produttori e, probabilmente, non è nemmeno così importante. Conterebbe di più il gesto e non sarebbe solo formale: aiuterebbe ad amalgamare il mondo di Langa e Roero e a facilitare alcune scelte strategiche rimaste finora inesplorate. La mia proposta non aspetta risposte e tantomeno dibattiti accesi o reazioni di pancia. Ciascuno ci pensi, ci rifletta e cerchi di portare un contributo disinteressato al confronto nel settore.

Giancarlo Montaldo

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