Conte e i conti con l’Unione europea

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo 1

Ci risiamo. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il suo Ministro dell’economia e delle finanze, vice-primi ministri permettendo, dovranno adesso trovare argomenti e coraggio per rispondere al messaggio arrivato giorni fa da Bruxelles a proposito del risanamento dei conti pubblici italiani.

Comincia appena adesso una “via crucis” (espressione che dovrebbe piacere a Salvini) che rischia di protrarsi per settimane, se non per mesi, in una tappa tutta in salita che ci porterà al “gran premio della montagna” in occasione della legge di bilancio di fine anno.

Ma andiamo con ordine. Si tratta di un percorso che parte da lontano: per non andare oltre, almeno da quando l’Italia ha adottato l’euro sottoscrivendo precise regole destinate a disciplinare i comportamenti con gli altri partner dell’Unione europea. Da allora, ai parametri di Maastricht si sono aggiunti altri impegni come, nel 2012, il Trattato intergovernativo denominato “fiscal pact” e il successivo “pareggio di bilancio”, inserito nella nostra Costituzione: due disposizioni anche un po’ fuori misura che sarà bene, un giorno non troppo lontano, rivedere.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

Più vicino a noi è ancora nella memoria la travagliata vicenda della legge di bilancio di fine 2018, con le tensioni tra Roma e Bruxelles, conclusasi con l’imposizione al governo italiano della revisione delle soglie di sforamento che oggi la Commissione europea giudica non rispettate, per nulla convinta degli argomenti addotti dal ministro Tria per giustificarne il superamento.

In particolare la Commissione europea è preoccupata per la crescita dell’indebitamento italiano (previsto attorno 135% sul Pil nel 2010, pari a 50 punti percentuali sopra la media europea) nel quale vede una minaccia alla stabilità della moneta e dell’eurozona, i cui governi sono chiamati ad esprimersi nei prossimi giorni sul rapporto presentato dalla Commissione e giudicare o meno fondata la richiesta di una rapida manovra correttiva, di circa 3,5 miliardi.

In assenza di una risposta soddisfacente da parte del governo italiano potrebbe intervenire una decisione Consiglio dei ministri delle finanze, nel corso del mese di luglio, per l’avvio di una procedura di infrazione per eccesso di debito che costerebbe cara all’Italia, non solo finanziariamente ma anche, e forse più, politicamente, aggravando l’isolamento in cui si è avvitata l’Italia in questi ultimi mesi, certo non temperato dalla azzardata uscita sulla creazione di “mini bot”, rispedita al mittente senza tanti complimenti da Mario Draghi.

Inutile nascondersi l’impatto possibile di tutta questa vicenda, di qui ai prossimi mesi per l’Italia e per l’Unione europea.

L’Ue dovrà valutare con molta attenzione le conseguenze politiche al suo interno di un’eventuale sanzione all’Italia, in una fase di transizione della “governance” delle sue Istituzioni, di cui sarà in corso nel semestre prossimo il totale ricambio, senza contare le tensioni che ancora genereranno Brexit e altre turbolenze internazionali, a cominciare dalle guerre care a Donald Trump.

Per l’Italia ne va della sopravvivenza di questo traballante governo a trazione Salvini, vincitore nelle elezioni europee in Italia e perdente nell’emiciclo di Strasburgo, dove ha sempre più difficoltà a formare un gruppo politico omogeneo.

Se i patti saranno rispettati in seno al governo italiano – e niente è meno sicuro – toccherà al presidente Conte e al suo ministro delle finanze trattare ad oltranza con Bruxelles, sperando di non essere pugnalati alle spalle dai litiganti del governo verdegiallo, incerto sul suo futuro. E, ancor più, l’Italia sul suo.

Franco Chittolina,
sociologo che ha lavorato per 25 nelle istituzioni europee

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