Dalle suore di clausura una lezione  di solidarietà a tutto il paese

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La misura è colma, né si può più tacere o restare indifferenti. Ciò riguarda anche la Chiesa, rispetto a una crescita, quasi esponenziale, di disumanità verso gli immigrati. Di fronte alla barbarie civile, che ha lasciato per diciassette giorni in balìa delle onde la Sea Watch 3, con un carico umano di immigrati fuggiti dai lager della Libia, una parte della comunità ecclesiale ha reagito con la solita disponibilità e solidarietà.

Il vescovo di Torino, Cesare Nosiglia, s’è detto pronto ad accogliere quei poveri immigrati, a proprie spese, senza oneri per lo Stato. Ma la sua mano tesa è stata rigettata con arroganza e sprezzo. «Caro vescovo», gli ha twittato il ministro dell’Interno, «penso che lei potrà destinare i soldi della diocesi per aiutare quarantatré italiani in difficoltà». Volutamente ignaro quel ministro, come sempre, delle tante strutture caritative con cui la Chiesa soccorre coloro che sono in difficoltà. «Al centro della nostra attenzione», ha ricordato monsignor Nosiglia, «ci sono le persone, e noi non facciamo distinzioni tra italiani e stranieri, uomini e donne, cattolici e non».  Al giovane parroco di Lampedusa, don Carmelo La Magra, che assieme a un gruppo di fedeli, ha trascorso le notti sul sagrato della chiesa, («con la schiena dritta e la coscienza retta»), in attesa dell’approdo della Sea Watch 3, lo stesso ministro, con strafottenza, gli ha augurato: «Dorma bene!».

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Ma l’arroganza non frena il dissenso. A sorpresa, sono uscite allo scoperto le suore di clausura. Quelle che molti considerano “fuori dal mondo e dai problemi reali del Paese”. Clarisse e carmelitane di sessantadue monasteri d’Italia hanno scritto una lettera al presidente Sergio Mattarella e al primo ministro Giuseppe Conte. Hanno espresso «preoccupazione per il diffondersi in Italia di sentimenti di intolleranza, rifiuto e violenta discriminazione nei confronti dei migranti e rifugiati che cercano nelle nostre terre accoglienza e protezione». Esseri umani che fuggono da guerre, persecuzioni, fame e carestie. E hanno chiesto che «le istituzioni governative si facciano garanti della loro dignità, contribuiscano a percorsi di integrazione e li tutelino dall’insorgere del razzismo e da una mentalità che li considera solo un ostacolo al benessere nazionale». Alle parole hanno fatto seguire i fatti. Alcuni monasteri stanno provvedendo a mettere a disposizione spazi e aiuti.

Non tutto il mondo cattolico, però, s’è mostrato compatto. E pochi hanno osato la disobbedienza civile, alla don Milani, contro la violazione dei più elementari diritti umani e dei trattati internazionali, pur sottoscritti dall’Italia. E, soprattutto, contro la dissacrazione della secolare “legge del mare”, che impone ai marinai di salvare, sempre e comunque, chi sta per affogare. Tra quei pochi, ferma è stata la posizione dell’ex vescovo di Caserta, monsignor Raffaele Nogaro: «Faccio professione solenne di disobbedienza civile alle leggi ingiuste contro i migranti e i poveri. E chiedo che lo facciano i cristiani che davvero mettono al primo posto il Vangelo e tutti coloro che credono nella giustizia». Rifacendosi, poi, alla parabola del “buon Samaritano”, ha aggiunto: «Nella nostra situazione, nell’Italia di oggi, la Chiesa, i vescovi, i preti e i cristiani devono praticare la disobbedienza civile, assumendosene le conseguenze, a costo di essere processati, condannati e anche di andare in prigione, se necessario».

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Appello, quest’ultimo, accolto da alcuni docenti della Facoltà teologica dell’Italia meridionale, che rifiutano la “guerra ai poveri”. «Se la solidarietà sta divenendo in Italia un reato», hanno scritto, «allora anche noi vogliamo compiere questo reato di umana solidarietà. Desideriamo essere indagati e processati per apologia di reato e ci offriamo di ricevere la pena prevista». È il primato della coscienza e della solidarietà umana sulle leggi umane. Soprattutto quelle che fomentano paure o delegittimano la solidarietà.

Purtroppo, di fronte a norme disumane, non tutti nella Chiesa ascoltano la propria coscienza. Non tutti si ribellano. Anzi, monsignor Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi, teme che tra i cori irripetibili, con slogan razzisti e sessisti, che hanno accompagnato lo sbarco della “capitana” di Sea Watch 3, Carola Rackete, ci fossero anche dei cattolici. Gli stessi, forse, che in Rete e sui Social si ritrovano a proprio agio più con gli insulti e gli incitamenti all’odio e allo stupro che con le parole di pace e misericordia del Vangelo. «I migranti sono, prima di tutto, persone umane», ha ricordato papa Francesco nel sesto anniversario della sua visita a Lampedusa. E, oggi, rappresentano «il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata». Per questo ha auspicato, «in modo esteso e concertato», corridoi umanitari. Come fa, da tempo, la comunità Sant’Egidio, in accordo con la Cei e le Chiese evangeliche.

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Più compatti, invece, si sono mostrati i vescovi tedeschi, nel documento Resistere al populismo, nell’affrontare le sfide che si pongono alla Chiesa e alla società. «Il populismo mostra, ogni giorno, il suo volto minaccioso», hanno scritto, «perché induce a vedere le cose in bianco e nero e con spirito gretto. Il mondo sta diventando sempre più complesso, ed è innegabile che questa complessità ne travolga alcuni, ma il populismo promette risposte semplici».

Di fronte all’uso strumentale dei simboli religiosi e ai tentativi di piegare il cristianesimo a fini populistici, la condanna dei vescovi tedeschi è netta. «Siamo convinti», hanno aggiunto, «che la nostra fede e la nostra tradizione cattolica come Chiesa universale siano in contrasto con le caratteristiche chiave del populismo. Pensiamo all’uguaglianza assoluta di tutti gli esseri umani come creature di Dio. Pensiamo al comandamento fondamentale dell’amore del prossimo, che raggiunge anche quelli che sono forse i più lontani da noi, ma che nel loro bisogno di aiuto diventano il nostro prossimo». La fede non diffonde paura e terrore, ma fiducia e speranza. È una sfida, questa, anche per le nostre Chiese in Italia, dove c’è chi fomenta il rifiuto dei migranti, in nome dell’identità cristiana. A dispetto del Vangelo, che ammonisce: «Ero forestiero e non mi avete accolto» (Mt 25,43).

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Nel frattempo, impigliato nell’affare “Moscopoli” per presunte tangenti alla Lega, “capitan coraggioso” Matteo Salvini non sa più come uscirne né come sviare l’attenzione dell’opinione pubblica. Dopo essere fuggito, mesi fa, dai giudici per la vicenda della nave Diciotti, ora scappa dal confronto in Parlamento, richiestogli dai suoi stessi alleati di Governo. Incappa, però, in una sequela di “passi falsi”. E se prova a scaricare, come ha tentato di fare, il suo “emissario” a Mosca Gianluca Savoini, la rete lo sommerge di foto che li ritrae assieme, in più occasioni e in incontri ufficiali con rappresentanti russi. “Chi di selfie ferisce, di selfie perisce”.

Cerca di rifarsi, allora, con lo sgombero di più di trecento persone, tra cui ottanta bambini e diversi anziani che, dal 2003, occupavano l’ex scuola media Don Calabria, nel quartiere romano di Primavalle. Molti di questi sono stranieri: marocchini e rumeni soprattutto. I ragazzi frequentavano le scuole della zona. Rayane, 11 anni, nato in Italia da genitori marocchini, piange per aver perso gli amici. Gli restano i libri, la cosa più cara che ha salvato dallo sgombero, assieme alla voglia di tornare a scuola. Quella foto del “bambino coi libri”, apparsa sui giornali, ha commosso molti. «Rayane si sta preoccupando del suo futuro», ha scritto Roberto Saviano, «molto più delle istituzioni che dovrebbero farlo per lui e nonostante la spietatezza di chi usa un evento drammatico per fare propaganda».

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«Nessuna tolleranza e nessuno sconto ai violenti che occupano, incendiano e attaccano le forze dell’ordine», ha detto il ministro dell’Interno dopo lo sgombero di Primavalle. «Chi ha attaccato la polizia deve finire in galera. Avanti con gli sgomberi a Roma e in tutta Italia». Tolleranza zero, quella del leader leghista, che svanisce però di fronte allo stabile di via Napoleone III all’Esquilino, occupato illegalmente da CasaPound da quindici anni. “Capitan coraggioso” butta in strada i ragazzini di Primavalle, ma salva i “fascisti del nuovo millennio” in un palazzo del centro di Roma. «L’immagine della vigliaccheria», hanno scritto in tanti.

E viene spontaneo chiedersi, come ha fatto don Luigi Ciotti: «Che democrazia è quella che, invece di costruire giustizia sociale in un concorso di diritti e di doveri, colpisce la povertà e la disperazione come fossero dei reati? E che politica è mai quella che, invece di servire al bene comune e impegnarsi affinché a ogni persona siano garantiti i diritti fondamentali (casa, lavoro, istruzione, assistenza sanitaria), si concepisce e si manifesta come azione di forza, esercizio di spavaldo e compiaciuto accanimento contro le persone più deboli, indifese, spaventate?».

Come se non bastasse, dopo lo sgombero di Primavalle, è già in atto un’altra “arma di distrazione di massa”: l’ordine ai prefetti di censire, su tutto il territorio nazionale, gli insediamenti di rom, sinti e caminanti. Altri sgomberi in vista per un “censimento etnico”. Naturalmente, nel rispetto dei diritti della persona!

 

Antonio Sciortino

già direttore di Famiglia Cristiana e attualmente direttore di Vita Pastorale

 

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