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Barolo, sarebbe forse il momento di ridurre le rese

Joe Bastianich testimonial del Barolo 2012 3

PROPOSTE Vorrei fare qualche riflessione sulla decisione del Consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani di bloccare gli impianti di Nebbiolo da Barolo per i prossimi tre anni: una decisione che ha colto un po’ di sorpresa, visto che dal 2011 il consorzio ha lavorato per gestire la crescita dei vigneti del Barolo, anche se nel settore non sempre c’è stata piena condivisione. A dicembre 2017, ad esempio, la sua decisione di innalzare da venti a trenta ettari i nuovi impianti di Nebbiolo da Barolo aveva destato varie reazioni. La più decisa era parsa quella della Cia della provincia di Cuneo, il cui presidente, Claudio Conterno, aveva espresso varie perplessità perché a suo avviso il settore faticava già a vendere bene tutte le bottiglie di Barolo prodotte. Secondo Conterno, sul mercato esistevano due tipi di Barolo: uno di elevate qualità e prestigio venduto a prezzi qualificanti e uno di qualità e pregio minori, commercializzato a prezzi più bassi. La posizione della Cia era chiara: prima di aumentare ancora la produzione del Barolo bisognava migliorare lo status di mercato di tale vino.

Oggi, nella conduzione di una denominazione d’origine è strategica la gestione, che passa dal monitoraggio di impianti e produzioni e la loro regolamentazione. In ogni caso, tre sono le soluzioni possibili: negare ogni ampliamento, lasciare libertà totale ai produttori e gestire lo sviluppo come è stato fatto dal 2011. Il blocco degli impianti può essere l’extrema ratio, ma rischia di portare effetti collaterali negativi come l’invecchiamento più o meno accentuato dei vigneti in produzione.

La liberalizzazione assoluta in genere ha esiti critici: ne sanno qualcosa Barolo e Barbaresco, che prima del 2011 hanno passivamente accettato una situazione del genere. La soluzione più logica resta quindi la gestione ragionata degli impianti. Per questo credo che la decisione del consorzio di bloccare gli impianti del Barolo per tre anni contenga un errore di fondo e contraddica ciò che meritoriamente ha fatto dal 2011. Forse si poteva procedere con una quota di nuovi impianti assai contenuta, ma non bloccare. Viene da chiedersi se non si potessero adottare interventi di efficacia più immediata. Il blocco degli impianti, se porta benefici, lo fa solo dopo alcuni anni. Nel frattempo i vigneti produttivi continuano a immettere il loro vino sul mercato.

Il disciplinare di produzione prevede la possibilità di ridurre la resa per ettaro. E non solo per situazioni climatiche avverse, ma anche per un miglior equilibrio di mercato. Ridurre la resa per ettaro non era una soluzione più efficace in tempi brevi? D’altro canto, molti produttori di qualità sostengono da tempo che nei loro vigneti di Nebbiolo da Barolo non raggiungono i quantitativi fissati dal disciplinare. Perciò, applicare una riduzione secca poteva limitare non tanto le quantità di Barolo di punta, bensì quelle dei Barolo di qualità inferiore che – a sentire le voci che circolano nel settore – sarebbero la causa dei surplus di produzione rispetto al mercato. Inoltre, queste riduzioni di resa potrebbero essere trasformate in riserve vendemmiali da gestire a cura del consorzio.

Se nel tempo le cose migliorano, possono essere riportate alla dignità del Barolo. In caso contrario sono riclassificate diversamente. Chissà se c’è ancora tempo per qualche ripensamento o aggiustamento?

Giancarlo Montaldo

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