Con Paolo Tibaldi scopriamo il significato del termine piemontese “Arbiciolù”

Con Pao

Arbiciolù: Individuo rinvigorito, intraprendente, pronto d’intuito, pimpante e gagliardo

Un gioco che facevo da piccolino, era quello di cercare una parola qualunque per ripeterla consecutivamente ad alta voce fino a quando non si ottiene quella perdita di significato, poiché ci si concentra sul suo suono; il processo di derealizzazione lo chiama chi se ne intende. Ecco a che attività è costretto un figlio unico. Una delle parole che mi aveva ispirato a fare questo gioco – spontaneo e naturale per quasi ogni bambino – era Arbiciolù. Non a caso, una parola piemontese.

Aggettivo maschile, indica un individuo particolarmente ardito, vivace, intraprendente. Infatti, il suono stesso di questa parola pare evocare simpatia, come fosse un divertissement lemmatico. Arbiciolù è un uomo non più giovanissimo che sa svolgere attività che richiedono un certo impegno; arbiciolù è anche un individuo nuovamente in gamba, rinvigorito dopo qualche problema di salute che magari lo ha debilitato per un certo periodo. O ȓ’è arpiàsse, bèica con c’o ȓ’è torna arbiciolù (si è ripreso, guarda com’è di nuovo in forma). Naturalmente c’è anche la versione femminile, utilizzata altrettanto frequentemente: arbicioluva.

Il termine in questione, sia al maschile, sia al femminile, è utilizzato dunque in contesti pertinenti alle condizioni fisiche, ma altresì mentali. Arbiciolù non riguarda soltanto l’efficienza fisica, bensì anche quanto una persona è pronta d’intuito, lucida e talvolta spiritosa. C’è un bel modo di dire utilizzato nei confronti di una persona anziana arzilla e che si mantiene bene: arbiciolù e sempe ‘n piòta!

L’etimo non è non è del tutto certo, né convincente per motivi semantici, ma di certo nulla ha a che vedere con l’aȓbi, ovverosia il navaccio (una vasca, bigoncia, utilizzata per le più varie attività rurali). I dizionari che consulto abitualmente riportano ad un verbo strettamente correlato, che indica rinfrancare, recuperare le forze, azzimarsi: arbëccé, che declinato ci porta proprio all’aggettivo benaugurante di cui abbiamo parlato questa settimana.

Paolo Tibaldi

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