I medici di famiglia scendono in piazza

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IL CASO  Se la sanità pubblica avesse un’immagine identificativa, c’è da scommettere sarebbe quella del medico di famiglia. Meno ufficiale rispetto all’ospedale, a libero accesso e senza bisogno di prenotazioni, il suo studio esprime vicinanza ai bisogni quotidiani, dai malanni di stagione ai problemi di salute più seri. Eppure, nonostante la centralità di questa figura, non è semplice essere un medico di base nel sistema sanitario italiano. I motivi? Parecchi e non nuovi, ma piuttosto esito di questioni rimaste aperte, di interrogativi rimasti senza risposte, di proposte andate sempre a vuoto.

Proprio per questo la Fimmg, Federazione italiana dei medici di famiglia, il principale sindacato di categoria, ha deciso di farsi sentire nelle piazze con la campagna #adessobasta. Partito da Biella martedì scorso, per un tour nazionale che toccherà quindici città in trenta giorni, il camper del sindacato ha fatto tappa mercoledì 4 settembre in piazza Risorgimento ad Alba e nel pomeriggio a Santo Stefano Belbo. Abbiamo parlato con il segretario nazionale Silvestro Scotti.

Scotti, quali sono le problematiche che denunciate attraverso quest’iniziativa?

«In primo luogo la mancanza di programmazione sul numero dei medici, con conseguenti carenze di personale. Il problema tocca in particolare i piccoli centri, che in Italia sono la maggior parte. Quando un medico va in pensione, non si riesce a sostituirlo. I giovani sono più attratti dalla città, dove le aree di competenza sono meno vaste e dove è più facile appoggiarsi su altri colleghi. Al contrario nei piccoli centri si è spesso soli, con orari prolungati e una platea molto ampia di pazienti: per questo abbiamo fatto tappa in molti paesi».

Sono cambiati anche i bisogni dei pazienti?

«Certo! Se fino a vent’anni fa, su un massimo di 1.500 pazienti, ogni medico ne aveva in media 150 sopra i 65 anni, oggi siamo saliti ad almeno 500. Non è il numero di mutuati che implica il lavoro, ma il tipo di prestazioni erogate. Sempre di più vengono presentati ai cittadini progetti di megastrutture che accentrano la medicina, quando l’ideale sarebbe decentrare e garantire più domiciliarità».

Che cosa chiedete?

«Esistono sistemi che permettono di svolgere ecografie collegandoci con uno smartphone o di monitorare pazienti con holter pressori e cardiaci, per esempio. Servono però finanziamenti: chiediamo al Governo che si proceda in questa direzione nella legge finanziaria, creando un fondo ad hoc, diverso dal fondo sanitario nazionale. Lo stesso discorso vale per il personale infermieristico e per gli assistenti di studio, figure di supporto al medico, così da sgravarlo da incombenze che sottraggono tempo ai pazienti: anche in questo caso, ci serve un sostegno».

Per quale motivo la categoria dei medici di famiglia è stata così penalizzata?

«Il problema è che nel nostro sistema il medico di famiglia è sempre stato considerato qualcosa di esterno, anche se siamo la categoria più vicina ai cittadini e la più apprezzata. Siamo liberi professionisti che hanno come datore amministrativo l’Asl per la quale lavorano, ma anche i pazienti, che ci vedono ogni giorno al loro fianco. Anziché valorizzare questa nostra natura, il tentativo è quello di renderci dipendenti. Vorremmo, al contrario, essere valorizzati: chiediamo un nuovo tavolo contrattuale».

Francesca Pinaffo

Andrea Gonella trentadue anni, roerino, sanitario per vocazione

I medici di famiglia scendono in piazza«Fare il medico di famiglia è prima di tutto una vocazione, ma abbiamo alle spalle una grande formazione». Presente in piazza con la Fimmg c’è anche il trentaduenne di Guarene Andrea Gonella, che ha terminato a dicembre 2018 la specializzazione triennale in medicina generale. Nel sindacato dei medici riveste il ruolo di vicesegretario nazionale per la continuità assistenziale, cioè per la categoria delle guardie mediche, professione che svolge in questo momento ad Alba. «Ci prepariamo tre anni per svolgere questa professione, che è per noi una questione di scelta. Ma, calati nella realtà, è evidente la reale mancanza di investimenti sulla nostra categoria», spiega. Anche per quella delle guardie mediche è lo stesso: «Dovrebbero essere figure che lavorano in continuità con i medici di medicina generale, ma non è così. Per esempio, la guardia medica non ha la possibilità di accedere alla scheda personale del paziente: vedendolo per la prima volta, sarebbe importante avere informazioni su farmaci o su eventuali patologie. In egual modo il medico di medicina generale non riceve le eventuali prescrizioni della guardia medica: serve un’informatizzazione del sistema», spiega. Un altro aspetto riguarda proprio l’inquadramento nel sistema: «Come le guardie mediche hanno competenza negli hospice, ci battiamo per implementare le esperienze diurne, accanto ai medici di famiglia: serve una maggiore integrazione tra queste due figure», conclude Gonella.

f.p.

Luciano Bertolusso: «Quattro euro al mese per paziente rappresentano una somma inadeguata»

In provincia di Cuneo la Fimmg riunisce all’incirca 400 medici, rappresentati dal segretario provinciale Luciano Bertolusso. Medico di medicina generale a Sommariva Perno, conta 1.500 assistiti e quasi 16mila accessi all’anno nel suo studio.

«Abbiamo intrapreso questo tour nelle piazze per testimoniare la nostra presenza sul territorio, anche se ogni giorno ci confrontiamo con non poche difficoltà. Basti pensare che il nostro contratto è fermo da dieci anni e che oggi per ogni paziente riceviamo all’incirca 4 euro al mese: è una somma insufficiente se si pensa alle ore di lavoro, alle prestazioni erogate e alle spese che dobbiamo sostenere. Alla luce di ciò, non c’è da stupirsi se moltissimi medici non possono contare su personale infermieristico o d’ufficio, ritrovandosi a svolgere da soli tutte le mansioni e togliendo tempo ai pazienti», spiega Bertolusso, per poi proseguire: «Difficile pensare che ci siano giovani disposti a intraprendere questa professione, proprio per le difficoltà ad aprirsi e a gestirsi un ambulatorio: nel frattempo aumenta il numero dei pensionati, con il rischio di un mancato ricambio generazionale, che si avverte anche nella nostra provincia». Eppure di idee per smaltire la mole di lavoro dei medici e allo stesso tempo andare incontro ai pazienti che hanno più difficoltà a raggiungere i loro studi, come gli anziani, ce ne sarebbero.

I medici di famiglia scendono in piazza 1Bertolusso elenca: «La dematerializzazione delle ricette, per esempio. Come accade già in Trentino-Alto Adige e in Sicilia, sarebbe possibile abolire i promemoria cartacei delle prescrizioni. Tramite un sistema informatizzato, ogni farmacia potrebbe accedere alle ricette semplicemente attraverso la tessera sanitaria del paziente. Pensiamo agli anziani, che assumono sempre gli stessi farmaci: basterebbe una telefonata al medico per rinnovare la loro ricetta, evitando loro spostamenti superflui. Il problema è sempre lo stesso: servono investimenti».

Francesca Pinaffo

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