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Sui prezzi delle uve si vanno diffondendo contratti tra chi produce e chi poi vinifica

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Lettere al giornale

Arriva settembre e come ogni anno si parla di prezzi delle uve. Premesso che la situazione ideale sarebbe di poter arrivare sempre al prodotto finito e quindi alla bottiglia, chiudendo il ciclo della cosiddetta filiera, resta che il mercato delle uve è ancora significativo. Inferiore al passato perché le aziende hanno i propri vigneti e la figura dell’invecchiatore o, per dirla alla francese, del negociant si è ridotta.

Per tanti anni la consulta della Camera di commercio si ritrovava a vendemmia conclusa e stabiliva dei prezzi medi basandosi sulla constatazione di quanto era avvenuto e su una sorta di accordo tra le varie categorie che erano presenti: la cosiddetta media, che era sempre piuttosto ben ponderata, ma aveva il difetto di arrivare dopo la raccolta, portando all’abitudine di consegnare l’uva senza sapere che prezzo avrebbe avuto.

La consulta oggi non esiste più! I sindacati agricoli da alcuni anni fanno un loro listino prezzi per avere dei riferimenti nei contratti di affitto, ma che poi viene usato come fosse la media di una volta. La Camera di commercio invia lettere chiedendo di riferire sui contratti stipulati per poter stabilire dei valori ma finora la cosa non ha funzionato.

Dunque ciò che conta è la contrattazione tra privati ed è anche giusto perché in fondo il prezzo è sempre il punto di incontro tra domanda e offerta anche se i libri di scuola ci dicono che questo può avvenire se il mercato è libero, dinamico e trasparente. Un riferimento oggettivo può essere però il costo di produzione, che serve a fare in modo che il produttore possa continuare a produrre nel tempo. Vendite sottocosto sono possibili per situazioni difficili ma determinano poi estirpi e abbandoni.

Produrre uva costa poco meno di un euro al chilo per agricoltori che non assumano manodopera, invece costa 1,30-1,40 al chilo per gli imprenditori, senza contare gli ammortamenti per l’investimento. Sono numeri che arrivano da conti fatti con attenzione e meticolosità. Ci dicono che chi produce uva Nebbiolo da Barolo si è avvantaggiato di una corsa al rialzo slegata dall’effettivo valore complessivo della denominazione e buon senso dice che ci sarà un rientro in parametri che consentano questa volta agli imbottigliatori di non perdere i mercati di vendita finale. Ci dicono anche che su troppe uve non viene esercitata una capacità contrattuale adeguata dal viticoltore.

Per fortuna si stanno diffondendo accordi contrattuali tra chi produce uva e chi ne ha bisogno che prevedono clausole e prezzi per soddisfare entrambi i soggetti. Buona vendemmia.

Claudio Rosso

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