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Un lavoratore agricolo su tre oggi è straniero

Immagine d'archivio
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INTERVISTA Anche Coldiretti interviene sulla vicenda degli stagionali a Saluzzo, oggetto di un’inchiesta pubblicata da Gazzetta d’Alba prima delle vacanze estive. Il tema – volutamente politicizzato – è sempre rovente, anche se nella vicina città si sono tentate più strade per l’integrazione e per la sistemazione dei lavoratori, che arrivano anche nel Saluzzese attirati dalla possibilità di un’occupazione.

Roberto Moncalvo, presidente regionale della principale associazione di rappresentanza degli agricoltori, risponde ad alcune domande e fornisce ulteriori elementi utili a comprendere il quadro economico, niente affatto semplice. L’emergenza non si discute, le difficoltà a elaborare una risposta di lungo periodo persistono, ma la riflessione si allarga anche alla crisi di settore.

Coldiretti è direttamente coinvolta nelle decisioni prese a Saluzzo. Quale il suo impegno, Moncalvo?
«Insieme alle altre organizzazioni coinvolte abbiamo firmato un protocollo tecnico, a fine luglio, che dovrebbe facilitare l’applicazione del documento già sottoscritto in marzo. Tutte le parti in causa s’impegnano a lavorare a una mappatura della situazione, utile a incrociare domanda e offerta di manodopera. L’obiettivo è arrivare a fine anno con dati precisi, trasparenti, che consentano di gestire un flusso migratorio ben superiore alle necessità dell’offerta effettiva di lavoro».

Questa situazione interessa la città di Saluzzo da anni. Cosa è cambiato?

«La sua composizione , anzitutto. Dapprima era prevalente la percentuale di lavoratori provenienti dall’Est Europa, ora bilanciata da una crescente presenza di manodopera di origine africana. Un lavoratore su tre impiegato nel settore agricolo, a livello nazionale, è straniero. Saluzzo è più gettonata, perché qui le condizioni di lavoro sono meno dure che altrove».

Secondo il protocollo, ai centri per l’impiego spetta il delicato compito di essere intermediario fra lavoratore e datore di lavoro. Le strutture sono sufficientemente attrezzate?

«Effettivamente, in agricoltura, a oggi, i centri per l’impiego non svolgono un ruolo da protagonista: storicamente non è riconosciuta loro grande rilevanza in questo settore. Eppure, si rende necessaria una struttura che funga da intermediario, ancor più nella particolare situazione saluzzese. Ecco perché tutte le parti – Coldiretti, sindacati, Municipi e associazioni che si occupano dell’accoglienza – si sono impegnate a collaborare attivamente, fornendo le informazioni necessarie».

Manca forse un regista a questa azione. Lo Stato?

«L’azione del Governo centrale sarebbe certamente utile in termini di risorse e per accelerare il processo decisionale. Ma credo sia necessario prima di tutto focalizzarsi sulla questione a livello locale, ricostruendo il processo mediante dati e lo scambio di informazioni».

Coldiretti ha da poco aperto i suoi campi d’accoglienza. Su quanti posti letto possono contare ora gli stagionali?

«Da metà luglio a Saluzzo e Lagnasco abbiamo reso disponibili circa 100 posti letto, allestendo campi nei pressi delle aziende interessate. Tengo a sottolineare che Coldiretti è l’unica organizzazione datoriale a impegnarsi in tal senso».

La crisi di settore morde anche le campagne del Saluzzese. All’emergenza abitativa che interessa gli stagionali si sommano le difficoltà delle piccole imprese agricole. È così?

«Questo è un tema estremamente cruciale per il prossimo futuro. Saluzzo è il riferimento per l’ortofrutta piemontese, il distretto certamente più ampio. Pesche, mele e kiwi, le principali colture, sono minacciate da una dinamica dei prezzi che sta avendo effetti devastanti. Si lavora in condizione di sottocosto di produzione. Faccio un esempio: le mele hanno un costo di 37 centesimi al chilo, ma la logica della distribuzione impone al produttore un prezzo di 30 centesimi. Al supermercato il consumatore le trova a partire da 1 euro e 45 centesimi. Qualcosa c’è che non funziona».

Chi si arricchisce in questo processo?

«Non il lavoratore stagionale e nemmeno il coltivatore. In Piemonte si è creato un vero e proprio cartello della frutta, costituito da soli quattro soggetti che insieme alla grande distribuzione determinano i prezzi di produzione. Se non si pongono delle regole per una filiera più giusta, presto l’intero settore potrebbe pagarne serissime conseguenze».

Che cosa si può fare, dunque, a suo avviso?

«Stilare un elenco delle pratiche commerciali sleali. Imporre lo stop alla vendita di prodotti agricoli sottocosto, così da prevenire le situazioni di illegalità e sfruttamento. Il miglioramento delle condizioni di vita degli stagionali non passa solo dalla risoluzione dell’emergenza abitativa, pur necessaria e sacrosanta. Ma anche dalla costituzione di una filiera giusta e trasparente».

Alessio Degiorgis

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