Con Paolo Tibaldi scopriamo il significato del termine piemontese “Giaj”

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Giàj: Manto chiazzato, lentigginoso, dal capello biondo-rossiccio

La saggezza popolare sa cristallizzare espressioni brevi che, pur perpetuandosi, mantengono quella vivacità e quei colori tipici della lingua piemontese. La parola attorno a cui riflettiamo questa settimana è giàj, con quella “à” tendente alla “o” pronunciata come solo i piemontesi di Langa, Monferrato e Roero sanno fare. Per questo è accentata.

Quando si dice ëȓ pì bon dij ross o ȓ’ha campà sò pàȓe ‘nt’ëȓ poss (il più bravo tra quelli con i capelli rossi, ha gettato il padre nel pozzo) è perché ci fu un tempo, neppure troppo lontano, in cui i giàj, ossìa coloro che avevano i capelli tendenti al rosso, una pelle lentigginosa o chiazzata, erano ritenute persone di cattivo carattere, magari permalose, poiché era una rarità avere quei tratti.

Per arrivare a motivare ciò, è necessario partire dall’etimologia di giàj, che è latina, dove la parola GAGATES indica una pietra chiazzata di nero. Da qui possiamo comprendere che non è un caso se i giajèt sono perline, pietroline di vetro colorato utilizzate per la bigiotteria o decorare un abito.

In francese poi, troviamo la parola jais, che rappresenta il bitume nero; dunque questo nero e questo macchiare sono parole chiave che permangono nell’evoluzione semantica della parola. Nel lessico tipicamente alpino, jalh indica sì il chiazzato, ma questa volta si parla di rosso e bianco. Per spezzare una lancia a favore di entrambe le origini, occorre citare una particolare varietà bovina riconosciuta per il suo manto particolarmente contrastato dalle chiazze: la vàca giàja.

Di conseguenza comprendiamo perché la parola giàj viene associata a persone con le caratteristiche somatiche di cui parlavamo poc’anzi, il capello rossiccio, una pelle particolarmente sensibile chiazzata dalle lentiggini. Infatti, quando si vede qualche individuo del genere, corredato da uno sguardo particolarmente infingardo, lo si paragona immediatamente ad un felino per le sue sembianze. Beica slì, o ȓ’è giàj c’o smìja a ‘n gàt!

Paolo Tibaldi

 

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