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Esami Unione europea: prima e dopo

Arrivare vivi alle elezioni europee

Chi credesse che entrare o uscire nei posti di comando dell’Unione europea sia sempre indolore si sbaglierebbe di grosso.

Lo provano le vicende di questi giorni tanto per la Commissione europea che per la Banca centrale europea, segnate entrambe da movimenti importanti che peseranno sulla imminente futura legislatura Ue 2019-2024.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

Cominciamo dalla Commissione europea, quella presieduta da Ursula von der Leyen, alle prese con la formazione del futuro “governo” Ue.

Sono in corso in questi giorni al Parlamento europeo le procedure di valutazione dei candidati-commissari e le sorprese non mancano. La procedura prevede una prima valutazione su eventuali conflitti di interesse dei candidati: chi non supera questa prima soglia viene rispedito al mittente, al governo nazionale che lo ha designato e che dovrà quindi rapidamente cambiare cavallo. A questo primo esame ne segue un altro anche più severo, un’interrogazione orale da parte della commissione parlamentare competente per il portafoglio assegnato incaricata di valutare nel merito il profilo e l’esperienza del candidato rispetto ai compiti affidatigli.

I tempi per concludere gli esami sono stretti perché il 23 ottobre prossimo il Parlamento europeo, in seduta plenaria, dovrà chiudere le sue valutazioni sull’intero collegio dei commissari affinché Ursula Vdl possa entrare in funzione il 1° novembre.

In questa prima fase di esami, non ancora conclusa, due sono già i candidati bocciati: la romena Rovana Plumb, designata per il portafoglio dei trasporti e l’ungherese Laszlo Trocsanyi, indicato per l’importante portafoglio della politica di vicinato e degli allargamenti. Colpisce che le due prime teste a cadere provengano entrambe da paesi dell’Est e che una in particolare sia stata designata dall’eurofobo ungherese Viktor Orban. Quanto basta per alimentare polemiche e accrescere il malumore degli ultimi paesi arrivati nell’Ue, già esclusi da posti di massima responsabilità, salvo l’eccezione del vicepresidente lettone Valdis Dombrovits.

Nuove sorprese potrebbero presentarsi negli altri esami in programma, dove sono in bilico designazioni nazionali importanti come nel caso della Francia, con Sylvie Goulard, indicata per l’importante portafoglio del mercato interno e dell’industria.

Queste le prime bocciature sulla porta d’ingresso della Commissione europea.

Altra storia, di tutt’altra valenza, quella che riguarda uno dei massimi vertici Ue in uscita, quel Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, protagonista assoluto della politica monetaria negli anni della crisi, recente bersaglio di Donald Trump e da sempre la bestia nera dei banchieri centrali, alfieri del rigore, come i vertici delle banche centrali tedesca e olandese.

La prima, in particolare, non ha mai fatto mistero del suo scontento per la politica espansiva di Draghi: giorni fa il suo presidente, il falco Jens Weidmann, lo ha accusato di aver «superato i limiti»; dal canto suo il presidente della Banca centrale olandese, Klaus Knot, ha giudicato le misure adottate da Draghi «sproporzionate rispetto alla congiuntura».

Niente di completamente nuovo rispetto al passato, ma adesso una reazione particolarmente intrigante alla vigilia del cambio della guardia alla presidenza della Bce, con l’arrivo il 1° novembre della francese Christine Lagarde.

Dopo il coro di lodi nel Parlamento europeo per Draghi che se ne va, questi giudizi hanno tutta l’aria di essere un messaggio per chi gli succede, quasi una messa in guardia per chi provasse ad attentare al rigore monetario, da sempre un’ossessione tedesca.

Segnali di cui bisognerà tener conto, in questi giorni di elaborazione delle leggi di bilancio nei paesi Ue, in Italia e Francia in particolare.

Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

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