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La lezione del Servaj festival: valorizzare grazie alla natura

La lezione del Servaj festival: valorizzare grazie alla natura
Il folto pubblico che ha partecipato al convegno dedicato ai modelli di turismo.

DIANO La Langa del sole, 19 Comuni uniti per raggiungere un unico traguardo: valorizzare l’alta Langa, la sua ruralità, il suo territorio, la sua unicità in chiave turistica. I mezzi quali possono essere? L’economia locale, il coinvolgimento degli abitanti, lo sviluppo tecnologico, la valorizzazione della tradizione, la conservazione dell’ambiente e il rispetto di tutto ciò che rende questo territorio unico.
Di tutto questo si è parlato durante il convegno che ha aperto il week-end di Servaj festival, svoltosi da giovedì a sabato allo spianamento di San Sebastiano, punto simbolico di partenza per aprirsi all’alta Langa. Un luogo panoramico dove il casolare in corso di ristrutturazione rappresenta un punto di riferimento per diventare consapevoli di questo progetto. Un progetto che può prendere spunto da altri territori che, per somiglianza all’alta Langa, sono stati rivalutati tramite azioni mirate di marketing e di comunicazione.

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Durante il Servaj festival non sono mancate le iniziative che hanno coinvolto i bambini.

Nel convegno si è parlato dei modelli di turismo dell’alto Douro (Portogallo), del Parco nazionale delle foreste casentinesi (tra Toscana ed Emilia-Romagna) e della valle del fiume Rioja (Spagna). Carlos Duarte Coelho Peixeira Marques ha illustrato come la zona dell’alto Douro sia stata valorizzata partendo dal fiume che attraversa tutta la valle, dove collina e montagna si incontrano, dal confine con la Spagna alla città di Porto. Un percorso naturalistico fatto di vigneti, panorami e navigazione sul fiume. Un fascino unico diventato sito Unesco grazie al grande lavoro svolto dal 2011 in poi, in un lasso di tempo che ha visto il Portogallo salire nelle graduatorie di gradimento dei turisti. Julio Grande Ibarra (direttore di Sepinum, agenzia specializzata nello sviluppo rurale) ha portato l’esperienza di un’area composta da 32 paesi, che è ripartita dalla valorizzazione dei tini rupestri (antichi manufatti in pietra per la pigiatura dell’uva) per ritrovare la propria identità. «Grazie a queste opere è cambiata la percezione del patrimonio locale da parte della gente del posto. Oggi non stanno aumentando i visitatori delle cantine, ma sono in aumento quelli attirati dal paesaggio», ha affermato Ibarra.

Interessanti i numeri forniti da Luca Santini, già presidente del Parco nazionale delle foreste casentinesi, 36mila ettari equamente divisi tra Toscana ed Emilia- Romagna, coperti all’80 per cento da boschi, una zona alla quale il termine servaj si adatta particolarmente. Il parco comprende 12 Comuni con 47mila abitanti. L’area, stretta tra due “macchine da guerra” del turismo di massa come Firenze e la Riviera romagnola, povera di infrastrutture e fino a qualche anno fa carente sul piano della promozione, ha saputo cambiare marcia puntando proprio sulla natura. «Abbiamo creato pacchetti rivolgendoci ai turisti provenienti dall’estero. È inutile promuovere la Toscana in Veneto o le Langhe in Lombardia», ha detto Santini, aggiungendo: «Abbiamo investito sulla formazione, sia nel campo dell’accoglienza che della ristorazione».

Il risultato è che, dal 2015 al 2017, gli arrivi sono quasi raddoppiati, passando da 110mila a 210mila. Oggi il turismo nella zona frutta oltre 40 milioni di euro all’anno, molti di più di quanti se ne incasserebbero usando le foreste per produrre legname. «Investire sulla conservazione del patrimonio forestale rende il doppio rispetto alle biomasse legnose. È importante riuscire a conciliare la conservazione del patrimonio naturale con lo sviluppo», ha concluso Santini.

Livio Oggero
Corrado Olocco

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