Carlo Freccero, la Tv futura vuole renderci più soli

Con la televisione delle piattaforme l’utente è artefice del proprio palinsesto

Carlo Freccero, la Tv futura vuole renderci più soli

INTERVISTA Carlo Freccero, dietro le quinte ma non esattamente in posizione defilata, è una delle persone che hanno rinnovato la televisione italiana. Amato e spesso criticato, non c’è dubbio che Freccero abbia orientato, con idee e stile riconoscibili, l’evoluzione di un mezzo di comunicazione che non smette di mutare forma. A Serralunga, per il Laboratorio di Resistenza permanente della fondazione Mirafiore, venerdì scorso ha proposto una riflessione su ciò che attende gli spettatori di domani con la presentazione del suo libro Televisione fata e strega.

Freccero, prima di iniziare la sua lunga esperienza in televisione, lei si laurea in filosofia (con un tesi su Foucault, attento scrutatore del potere). Cosa deve alla sua formazione?
«C’è qualcosa di frenetico nel fare televisione: il rischio di smarrire la lucidità è molto alto. La filosofia è stata per me uno strumento formidabile perché mi ha permesso di concettualizzare ciò che facevo. Trovare una teoria e un senso dietro ogni progetto. E ancora: è stata necessaria per comprendere il contesto in cui mi trovavo a lavorare e accettare i cambiamenti in corso».

Questo approccio razionale come ha modificato il suo rapporto, privato, con la televisione?
«Devo ammettere che, con il passare del tempo, ha finito per strutturarsi come un rapporto di studio. Nessun godimento nella fruizione, un rapporto analitico, improntato da una certa freddezza».

Lei inizia la sua carriera in Fininvest ma curiosamente il suo nome è legato alla vicenda dell’“editto bulgaro” sulla Rai e allo scontro aperto con Berlusconi.
«Cominciai a lavorare con Berlusconi per caso. Era un innovatore nella stagione d’oro delle Tv commerciali. La televisione crea sogni e narrazioni che conquistano, ma facilmente si trasformano in incubi altrettanto potenti. Un giorno Frédéric Mitterand, ministro francese nipote dell’ex presidente, mi disse che disprezzava la Tv commerciale, ma che quello era il futuro. Non ci si poteva sottrarre, era una storia che seguiva il proprio corso. La politica finì per adeguarsi».

Una storia, quella della Tv commerciale, non poi così lunga. I social e lo streaming hanno presto imposto nuovi modelli. È ancora televisione quella delle piattaforme a pagamento?
«Credo sia qualcosa di diverso: l’utente, in questo caso, è artefice del proprio palinsesto. Un modello che crea un altro tipo di consumo. Più che la televisione, le analogie possono essere fatte con il cinema. Con Raiplay anche il servizio pubblico si adegua alla proposta dei giganti americani».

Un’altra rivoluzione in corso, dunque. Come cambia la figura dello spettatore?
«Provo a sintetizzare così: se il servizio pubblico ci voleva più colti, la Tv commerciale più ricchi, la nuova televisione, ibridata con social network e nuovi media, ci ha reso simili a giovani influencer. Forse, possiamo sostenere che l’obiettivo della televisione del futuro, quella delle piattaforme, è di renderci più soli».

Gli appuntamenti della fondazione Mirafiore proseguono con la lezione del filosofo Umberto Galimberti “L’uomo nell’era della tecnica”, in programma sabato 30 novembre, alle 18.30.

Alessio Degiorgis

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