Liliana Segre: «Più del male scelgo il bene»

«SIETE BELLISSIMI», DICE LA SENATRICE AI RAGAZZI, CON UN SORRISO DI SPERANZA

Liliana Segre: «Più del male scelgo il bene»

ALBA ha abbracciato Liliana Segre. Lo ha fatto fin da quando è apparsa in via Calissano a piedi, accompagnata del governatore Alberto Cirio e dal sindaco Carlo Bo. La Liliana Segre dei primi momenti è la senatrice a vita, la testimone della Shoah. Risponde alle domande dei giornalisti sull’odio e sulle minacce che riceve ogni giorno. Lo fa con parole ferme, dalle quali traspare una serena consapevolezza. «Ignoro gli odiatori, perché scelgo sempre di prendere la parte positiva, quella che c’è in ognuno di noi», dice. Mentre cammina lungo la via, aumenta la folla che l’accompagna passo dopo passo, senza avvicinarsi troppo. Qualcuno la fotografa, con un po’ di timore. Una donna, dice a voce piena: «Grazie per quello che sta facendo». Quando entra in teatro, la platea e il loggione si alzano in piedi, in un applauso infinito.

La ascoltano, in prima fila, le autorità. C’è anche l’ex procuratore generale di Torino Gian Carlo Caselli con la moglie. Si notano le fasce tricolori dei tanti sindaci. Arrivano da tutto il territorio, senza appartenenze politiche, compatti. Più in là, da metà sala in poi e nel loggione, si vedono i volti di ragazzi e ragazze, tanti studenti. Sono arrivati a piccoli gruppi, senza insegnanti e senza genitori. Il giorno prima, a Torino, a riunire i giovani era stata Greta Thunberg, adolescente come loro.

Ad Alba ci è riuscita questa signora elegante, dall’accento milanese, che si definisce «la nonna d’Italia» e che parla della pagina più drammatica della storia moderna senza filtri, con parole solenni e semplici allo stesso tempo.

Alla fine della cerimonia, i muri dell’ufficialità sono definitivamente venuti meno. In mezz’ora di dialogo, la storia è riemersa nella sua parte più vera. Le persone si avvicinano a Liliana Segre, le stringono la mano e si raccontano. Si sente parlare di padri deportati in Germania, di zii morti sul fronte, di nonni partigiani che hanno fatto la Resistenza, di un passato che le Langhe e il Roero hanno scritto nel loro Dna, proprio come ha detto il governatore del Piemonte Alberto Cirio. Ci sono le voci di ex studenti del liceo classico Govone, che la guerra l’hanno vissuta dalle aule che si trovano a pochi metri dal Sociale, dove studiò Beppe Fenoglio e dove insegnò Pietro Chiodi.

Un’altra frase da custodire: «Senza storia non può esistere memoria». Forse il primo passo per non dimenticarla, la storia, è proprio quello di condividerla. Quando Segre scende dal palco e si avvia verso l’uscita, ad attenderla ci sono proprio i giovani. Hanno taccuini e libri in mano, per gli autografi. L’accompagnano davanti alla macchina, fino a quando si apre la portiera. «Ci ricorderemo sempre di questo giorno», dice una ragazza, non più di sedici anni. «Grazie, siete bellissimi», risponde lei, sopravvissuta all’odio, con un sorriso che parla di speranza, nonostante tutto.

Francesca Pinaffo

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