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Francesco Morabito: «Mancheranno decine di migliaia di medici»

«Mancheranno decine di migliaia di medici»

Francesco Morabito, già direttore dell’Asl Cn2, esamina la situazione delle scuole universitarie che non forniscono sufficienti specializzati per gli ospedali

«Da anni spendo parole per richiamare l’attenzione sulla carenza di medici, col tempo la prospettiva si è fatta attuale: se andremo avanti di questo passo non ci saranno più specialisti in numero sufficiente per far fronte alle esigenze della popolazione». Francesco Morabito, ex numero uno dell’Azienda sanitaria locale Cn2, colui che affrontò le emergenze medico-igieniche della grande alluvione del 1994, espone, confortato dai dati, prospettive poco rosee per il servizio sanitario nazionale, un tema trasversale, che parte dalla giurisdizione Alba-Bra diretta per anni, fino a fotografare la situazione italiana.

«Le stime della Fiaso (sigla che sta per Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) parlano chiaro: nel 2017 erano in servizio 111mila medici nei nostri ospedali; quasi la metà, 55mila, sono andati o andranno in pensione fra il 2018 e il 2025. Al momento le nostre università formano la metà di coloro che lasceranno i loro incarichi». Pediatri, anestesisti, chirurghi delle varie specialità, ma anche medici di medicina generale e dei servizi territoriali, la resa dei conti è già in corso ed è destinata ad acuirsi sempre più negli anni a venire.

Ma cosa è successo? Dove sono le radici di questo momento buio? La risposta, come in ogni analisi che si rispetti, non è mai solo una e non esiste una panacea capace di risolvere tutti i mali.

«Si è inceppato il sistema gerarchico che costituiva per i giovani, negli ospedali, un potente stimolo alla crescita professionale: c’è stato un livellamento, dopo il primario non esistono più figure intermedie come l’aiutante anziano e altri». La demotivazione non è l’unico elemento contro il quale puntare il dito, lo scenario è più complesso e in parte dipende da fattori al di fuori delle possibilità di gestione.
«Un altro nodo è la mancanza di borse di studio, che condanna giovani brillanti e che hanno voglia di fare a un limbo professionale da cui nasce la voglia di espatriare in altre nazioni», spiega Morabito, facendo un passo indietro. «Soltanto gli studenti che completano la scuola di specializzazione possono esercitare negli ospedali, i costi da sostenere sono proibitivi, l’unica strada percorribile è diventare borsisti ma i fondi non sono sufficienti per tutti». Il percorso di studi per un medico ospedaliero si compone di una prima tranche, 6 anni la durata, che conduce alla laurea. A questo primo passo si aggiungono i 4 o 5 anni di corsi delle scuole di specializzazione e qui si colloca il collo di bottiglia, che taglia fuori giovani promesse e aspiranti, ma non è l’unico tassello nel complesso mosaico della sanità italiana. «Un tempo figure di primissimo piano qui ad Alba, per citarne uno Costanzo Bubbio, in una giornata si occupavano di un parto, di un femore e di una lesione polmonare», prosegue l’ex direttore, che agli albori della carriera era medico di base. «La specializzazione di settore oggi rende impossibile questo genere di cose, il progresso tecnico è stato immane se si pensa che dieci anni fa un’operazione di ernia richiedeva un’incisione e oggi si fa con un buco soltanto».

Il progresso però ha un costo, oltre a produrre un aumento dell’aspettativa di vita. Due elementi davanti ai quali il sistema sanitario nazionale, inaugurato nel 1978, non sembra avere validi strumenti per fare fronte.

Davide Gallesio

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