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I Rotten family fanno il pieno di ascolti web

ALBA La Rotten family è composta da Alessandro Servetti (in arte Egy, che si occupa della produzione musicale), da Matteo Gilestro (Gile) e Antonio Trillicoso (Lakitony) – entrambi alle rime e alle liriche – affiancati da Simone Mignacca nel ruolo di produttore. Tutti e tre sono nati e cresciuti ad Alba; nel febbraio 2016 hanno fondato il gruppo. A distanza di circa un mese dall’uscita, il nuovo album Liberi ha totalizzato oltre 115 mila ascolti sulle piattaforme digitali.

Cosa è cambiato dopo la pubblicazione di Panama, l’ultimo singolo?

«Panama è stato ascoltato da moltissime persone. Ma a noi poco importano i numeri. Il brano ci ha permesso di credere maggiormente in noi stessi. Non è un punto di arrivo, siamo molto lontani dai grandi record del mercato musicale italiano: ma è un grande punto di partenza, con la consapevolezza che creando bella musica è possibile raggiungere un sogno».

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I Rotten family in occasione del concerto a Castagnole delle Lanze.

Quale il messaggio che vuole trasmettere Liberi?

«L’album ha molteplici significati: vuole comunicare che la libertà è personale e ognuno può interpretare la parola a proprio modo. Il titolo prende anche il nome dall’ultimo brano dell’album, realizzato in collaborazione con Sly degli Atpc (collettivo torinese che ha fatto la storia del rap italiano)».

Il contesto provinciale in cui siete nati e cresciuti sembra, in questo periodo, vivere un nuovo momento musicale. Quali sono le vostre impressioni?

«Purtroppo fare musica dalla provincia non è semplice. Non viviamo in un contesto ideale, quanto meno per il nostro genere musicale. Nella traccia Zero parliamo proprio di questo argomento. Però è bello vedere che sempre più ragazzi decidano di dedicare parte del loro tempo alla musica, in qualsiasi forma».

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Il rapporto dei giovani con la musica: secondo voi, qual è per i ragazzi la funzione dell’ascolto e dell’esecuzione creativa?

«Oggi la musica, esattamente come in passato, custodisce molteplici funzioni. Il rap nasce come protesta sociale, e forse negli ultimi anni si è un po’ perso questo senso. Tuttavia, come avviene in ogni genere, l’ascolto e soprattutto l’esecuzione rappresentano sia uno sfogo che uno strumento per conseguire la crescita personale. La musica aiuta a scoprire se stessi e porta a comunicare quello che a parole è difficile trasmettere, spinge a migliorare ed allenarsi costantemente. La musica è cibo per la mente».

Matteo Viberti

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