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Alla Gai la macchina serve a limitare la fatica umana

Alla Gai la macchina serve a limitare la fatica umana

LA REALTÀ  La Gai nasce nel 1946 a Pinerolo, fondata da Giacomo Gai e dalla moglie Elsa. Dal 1985, l’attività viene trasferita a Ceresole, primo lembo di terra cuneese arrivando da Torino. Oggi alla Gai è coinvolta la terza generazione della famiglia, che occupa le posizioni di massima responsabilità e operatività. Nell’azienda, che offre lavoro a circa 260 addetti, i robottini sono una prassi da tempo e trasportano in autonomia i pezzi, schivando le persone e facendo la spola tra la zona della produzione, il magazzino e le macchine imbottigliatrici. L’automazione si rende molto concreta attraverso il magazzino: 27 metri di altezza, con undicimila cassette con i pezzi archiviati da un sistema automatico di rotaie e carrelli. Al comando di grandi macchinari ci sono gli uomini che li manovrano. Noi ne parliamo con l’ingegner Carlo Gai, figlio del fondatore.

Di cosa si occupa la sua azienda, ingegner Gai? Alla Gai la macchina serve a limitare la fatica umana 1

«Produciamo macchinari per l’imbottigliamento: vino, birra, altri liquidi. Le nostre linee possono raggiungere livelli di imbottigliamento che variano dalle mille bottiglie all’ora alle ventimila. Abbiamo circa 260 dipendenti e oltre 20 robot che lavorano ogni giorno insieme a loro. L’azienda conta anche su una filiale in Francia e una negli Stati Uniti. Io sono nato nel 1943, ma sono ancora operativo. Non ho altri hobby: mi diverto lavorando. Un uomo deve coltivare i propri… passatempi!».

Perché la tecnologia è fondamentale nella vostra azienda?

«Siamo ormai imparentati, allacciati in modo profondo con la tecnologia. La Gai costruisce tutti i pezzi dei macchinari che progetta. Tentiamo inoltre di lavorare in modo modulare: un pezzo prodotto per una funzione può essere applicato a un’altra macchina e assolvere alla medesima funzione. Questa impostazione richiede la disponibilità di molti strumenti e un continuo rapporto dei lavoratori con l’innovazione tecnologica».

Un rapporto che sempre più occuperà le preoccupazioni delle persone.

«Nel nostro caso utilizziamo la tecnologia per semplificare il lavoro degli uomini, per ridurne la ripetitività e la fatica. Per questa ragione non vedo effetti negativi o collaterali nel lavoro congiunto uomo-macchina, quando questo è utilizzato a scopi migliorativi ed evolutivi. Perciò, non mi piace parlare d’intelligenza artificiale. Le macchine apprendono, ma non sono propriamente intelligenti. Se le utilizziamo bene, possono migliorare le nostre vite nel campo occupazionale e sanitario. Mi ritengo un ottimista per natura. E penso che, in futuro, la componente tecnologica potrà contribuire al benessere collettivo, se utilizzata con sufficiente lungimiranza e flessibilità di pensiero».

Sara Elide

INCHIESTA: IL LAVORO AL TEMPO DEI ROBOT

 

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