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Il nucleare piemontese: da Trino fino a Saluggia

Parliamo delle centrali esistenti con Laura Porzio, del Dipartimento per i rischi fisici e tecnologici dell’Agenzia regionale per l’ambiente

Il nucleare piemontese: da Trino fino a Saluggia

L’ INTERVISTA La centrale di Trino Vercellese – al momento del suo debutto operativo, nel 1965, il più grande impianto al mondo a uranio arricchito, costato 40 miliardi di lire – fu dedicata al fisico Enrico Fermi, fra i principali ideatori della prima pila atomica dell’era moderna. La vita della centrale si concluse nel 1987, un anno dopo il terribile incidente di Chernobyl. Nel 1990 tutto il programma nucleare italiano fu sospeso: l’ultima ricarica di combustibile non ancora consumato a Trino fu venduta e la centrale messa in safestor (custodia protettiva passiva). In questa condizione, che prevedeva il mantenimento in sicurezza delle strutture a tutela della popolazione e dell’ambiente, rimase fino al 2000, quando la Sogin Spa avviò le attività di smantellamento.

Approfondiamo il tema con Laura Porzio, dirigente della Struttura semplice radiazioni ionizzanti e siti nucleari del Dipartimento rischi fisici e tecnologici dell’Arpa del Piemonte.

Facciamo chiarezza: in Piemonte quali sono gli impianti esistenti, Porzio?

«In primo luogo la centrale elettronucleare Enrico Fermi di Trino Vercellese, che entrò in esercizio nel 1965 e venne fermata 22 anni dopo (quando il nostro Paese abbandonò il nucleare). Dopo molti passaggi, nel 2015 si completarono le operazioni di trasferimento del combustibile esaurito presente nell’impianto a La Hague, in Francia; oggi vi si svolgono ancora attività di trattamento e rimozione dei rifiuti residui. A Saluggia (nel Vercellese) esiste invece l’Eurex, che ha operato tra il 1970 e il 1983 nel ritrattamento di combustibili irraggiati provenienti da reattori di ricerca italiani ed europei. Dopo l’interruzione delle operazioni sono state condotte sul sito attività di mantenimento in sicurezza, di condizionamento dei rifiuti radioattivi prodotti, di allontanamento del combustibile esaurito non riprocessato e di gestione delle materie nucleari residue. Infine, a Bosco Marengo, in provincia di Alessandria, si trova un impianto per la fabbricazione di combustibile nucleare, che ha quasi ultimato le operazioni di decommissioning (cioè la disattivazione)».

Ha giocato un ruolo anche la Fiat, non è vero?

«Sempre a Saluggia sorge il reattore di ricerca Avogadro, che fu realizzato dalla Fiat alla fine degli anni ’50. L’azienda aveva intuito la possibilità di realizzare un business in quel campo. Si trattava di un reattore del tipo “a piscina”, che ha funzionato per ricerche di fisica nucleare e di tecnologia dei materiali fino al 1971. Successivamente, alcune delle strutture del reattore sono state rimosse e la “piscina” è stata adattata a deposito di combustibile nucleare: la Fiat, a partire dal 1981, l’ha messo a disposizione dell’Enel per lo stoccaggio di parte del combustibile irraggiato proveniente dalle centrali nucleari italiane. I materiali derivanti dallo smantellamento delle strutture del reattore sono collocati in una zona di deposito, il cosiddetto bunker».

Da chi sono gestiti oggi tutti questi impianti?

«Dalla Sogin Spa, che nasce con un decreto legislativo del 1999: ha ereditato tutte le installazioni nucleari dell’Enel con l’incarico di gestire le attività di smantellamento e disattivazione delle quattro centrali nucleari italiane da tempo spente (Garigliano, Latina, Trino e Caorso). La Sogin ha preso in carico anche l’impianto di fabbricazione di combustibile nucleare di Bosco Marengo, nonché gli impianti di ricerca dell’Enea; ha inoltre compiti di localizzazione, realizzazione ed esercizio del deposito nazionale, il cui iter, al momento, risulta tuttavia fermo, non essendo ancora stata pubblicata la Carta nazionale delle aree idonee ad accoglierlo».

In Piemonte esistono più del 70% dei rifiuti radioattivi presenti sul territorio italiano. C’è da preoccuparsi, come sostiene Legambiente?

«Arpa (vale a dire l’Agenzia regionale per la protezione ambientale) conduce un monitoraggio sullo stato di contaminazione radiologica intorno ai tre siti nucleari del Piemonte. In tutti il campionamento avviene sia all’interno che all’esterno del perimetro degli impianti e, per quanto riguarda Trino e Bosco Marengo, non sono mai stati riscontrati problemi di contaminazione ambientale. A Saluggia invece si registrano bassi livelli di contaminazione radiologica nelle acque della falda superficiale. Si tratta di concentrazioni molto basse, che non comportano pericoli per la popolazione. Ma è chiaro che questi fenomeni vanno tenuti sotto costante controllo».

LEGAMBIENTE Attenti ai materiali radioattivi

Il nucleare piemontese: da Trino fino a Saluggia 1Secondo Giorgio Prino, che è il presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, «gli errori fatti nel passato ci sono costati moltissimo: a Saluggia e Trino, nel Vercellese, a Bosco Marengo e Tortona, nell’Alessandrino, si trovano l’ottanta per cento dei materiali radioattivi presenti in Italia. Riteniamo assurdo continuare a mantenere una simile quantità di materiali in aree inidonee a causa della vicinanza a fiumi, falde, zone abitate e agricole di qualità. Il rischio che si corre in caso di eventi estremi – che, per effetto dei cambiamenti climatici, sono sempre più probabili, intensi e ravvicinati – è elevato».

 

IL PUNTO Marnati: nessun problema sicurezza

Il nucleare piemontese: da Trino fino a Saluggia 2A fine gennaio è uscito il nuovo inventario dei rifiuti radioattivi presenti in Italia, curato dall’Isin, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione: da qui emerge come a Saluggia, nel Vercellese, esistano livelli di contaminazione delle acque. I quantitativi di rifiuti condizionati che devono ancora essere conferiti al deposito nazionale – una struttura per la quale non è stata al momento individuata l’ubicazione – sono stimati in oltre 9mila metri cubi.

A Trino Vercellese, invece, sono immagazzinate 230 tonnellate di «materiali radioattivi» a bassa o media attività. Le operazioni  di gestione e messa in sicurezza dei materiali radioattivi in Italia sono affidate alla Sogin Spa: i costi sono calcolati in 7,2 miliardi. Il programma di smantellamento è stato realizzato per circa un terzo, costando però già 3,8 miliardi di euro.

Sulla questione nucleare spiega l’assessore regionale all’ambiente Matteo Marnati: «Attiveremo un tavolo per valutare quali azioni mettere in campo insieme allo Stato, perché il problema delle scorie non può essere delegato alle sole Regioni. Facciamo la nostra parte. Per quanto riguarda la sicurezza, i piemontesi possono stare tranquilli».

Roberto Aria

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