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Radicamento mafioso in Piemonte

Trova origine negli anni Sessanta: l’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia è avvenuto nel 1983

LA RELAZIONE/2 Nonostante il radicamento mafioso in Piemonte abbia origine negli anni Sessanta e sia emerso chiaramente in tutta la sua cieca violenza con l’uccisione, nel 1983, del procuratore della Repubblica di Torino Bruno Caccia – senza dimenticare lo scioglimento per infiltrazioni mafiose, nel 1993, primo nel Nord Italia, del Comune di Bardonecchia – sono numerosi i piemontesi che ancora non hanno la piena coscienza degli effetti nefasti della presenza della ’ndrangheta. Uno degli avamposti del fenomeno criminoso sembrava essere la Valle d’Aosta, prima che la magistratura accertasse che
«il sodalizio mafioso di matrice ’ndranghetista capeggiato dai fratelli Marco e Roberto Di Donato sia riuscito a influenzare le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale della Valle d’Aosta del 20 maggio 2018».
Secondo gli inquirenti, infatti, il governatore valdostano Laurent Viérin avrebbe dialogato con la ’ndrangheta e prima di lui altri tre ex governatori avrebbero avuto rapporti con alcuni esponenti di spicco della criminalità organizzata calabrese.

A questo proposito il procuratore generale della Repubblica di Torino Francesco Saluzzo, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario ha lanciato un segnale forte: «Non c’è settore geografico del nostro distretto nel quale non si sia registrata e accertata la presenza di insediamenti di ’ndrangheta con costituzione di organismi tipici. S’era detto che in Valle d’Aosta non vi fosse. Esponenti della politica non avevano fatto mancare di far sentire la loro voce sdegnata per respingere quella possibilità. Ora, forse, questi motivetti finiranno di essere suonati. Quel che mi preoccupa è la persistente sottovalutazione del fenomeno che si coglie nell’opinione pubblica, nel sentire delle comunità che pure vivono, fianco a fianco, muro a muro, con i mafiosi».

Saluzzo vede una doppia lettura in questo fenomeno: «È un dato positivo e negativo al tempo stesso. Positivo, perché indica che non vi sia stata un’occupazione importante del tessuto sociale, imprenditoriale, politico del territorio, se ancora ci si sorprende. Negativo, perché testimonia della capacità di infiltrarsi in maniera subdola, non avvertita in maniera chiara; in secondo luogo, perché a queste caratteristiche e a questi atteggiamenti si accompagna la sottovalutazione, come si trattasse di fenomeno e comportamenti che non riguardano tutti ma solo i singoli che vengono a patti con i mafiosi. Questo atteggiamento tuttavia ha aiutato e aiuta sempre le organizzazioni criminali».

m.p.

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