Smart working: adesso le imprese lo spingono

Il nostro Paese risulta ultimo in classifica nell’Ue per il “lavoro intelligente”: solo il 2% dei dipendenti può operare da casa, contro l’11,6% degli europei e il 31% degli svedesi

Smart working: adesso le imprese lo spingono

IL CASO Secondo i dati di Eurostat – l’Ufficio statistico dell’Unione europea – in Italia il 2 per cento dei lavoratori, ovvero 345mila persone, utilizza lo strumento dello smart working (“lavoro intelligente” o “lavoro agile”). Tradotto, almeno un giorno a settimana è possibile rimanere a casa, invece di recarsi in ufficio, e svolgere le mansioni dalla propria scrivania. Questa transizione consente di armonizzare i tempi della vita privata con quelli lavorativi, dando la possibilità di una maggiore flessibilità e di un impiego meno totalizzante. Pare che lo smart working riduca lo stress, l’ansia e anche la fatica.

Eppure, la percentuale italiana di lavoratori smart si scontra con quelle dei Paesi confinanti: il nostro Paese risulta addirittura ultimo in classifica in Europa, dove l’11,6 per cento dei dipendenti si collega da casa, saltuariamente (8,7 per cento) o stabilmente (2,9). Nel Regno Unito la percentuale arriva al 20,2, in Francia al 16,6, in Germania all’8,6. Per non parlare del Nord Europa: 31 per cento in Svezia e Olanda, 27 per cento in Islanda e Lussemburgo, 25 per cento in Danimarca e Finlandia.

UE: LAVORO SMART
20,2% dei lavoratori del Regno Unito
16,6% dei lavoratori della Francia
8,6% dei lavoratori della Germania

Durante l’emergenza coronavirus, le aziende albesi sembrano aver spinto sull’acceleratore, con l’introduzione progressiva di questo strumento. Spiegano dal gruppo Miroglio: «Abbiamo attivato già nell’autunno 2019 il “lavoro agile”. Chi ne usufruisce può operare un giorno alla settimana da casa, concordandolo preventivamente col proprio responsabile. È sufficiente essere in possesso di un Pc portatile aziendale, di una connessione stabile e svolgere funzioni compatibili con questa tipologia d’impegno».

Aggiungono da via Santa Barbara: «Nel contesto odierno abbiamo esteso la possibilità di lavorare da casa in modalità “agile” per tutti i giorni della settimana fino ai primi di marzo. Questo per favorire una migliore gestione della vita familiare, anche in considerazione della chiusura delle scuole. Lo smart working è un modello di organizzazione che pone al centro il lavoratore, invece del luogo di lavoro. Inoltre, ha effetti positivi sul traffico pendolare, i consumi di energia e le emissioni inquinanti. Il gruppo Miroglio non ha ravvisato criticità alcuna nell’applicazione del metodo».

Anche Ferrero, a partire dal 2018, ha attivato lo smart working per circa 350 impiegati, senza tuttavia estendere questa opportunità ad altri lavoratori nel periodo di emergenza del coronavirus. Le misure per fronteggiare il pericolo di contagio si sono “limitate” alla chiusura dell’asilo nido aziendale e al fermo dell’attività praticata sui campi del Village, allo stop alle attività del circolo ricreativo aziendale e a quelle della fondazione Ferrero.

Spiegano ancora dall’azienda: «La produzione in Italia non ha subito alterazioni, anche se abbiamo adottato importanti misure precauzionali. Per quanto riguarda invece la Cina e le esportazioni, è ancora presto per quantificare eventuali cali delle vendite». Nessuna risposta invece in merito allo stabilimento che Ferrero ha in Cina.

Valerio Mo

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