Consiglio europeo: i giocatori in campo nella partita per la ripartenza

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo 1

Il 23 aprile al Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo si giocherà una delle partite più importanti nella storia della straordinaria avventura del processo di integrazione continentale, quella cominciata a sei nel 1951 e giocata adesso da 27 Stati Ue, al tavolo con le principali istituzioni comunitarie.

A quel tavolo con i governi nazionali, detentori della decisione finale, si confronteranno il Parlamento europeo e la Commissione, con la partecipazione straordinaria della Banca centrale europea, autonoma nelle proprie decisioni, per altro in buona parte già prese.

La squadra della Commissione europea, guidata dalla neo-capitana Ursula von der Leyen, scenderà in campo con i commissari agli affari economici, il lettone Valdis Dombrovskis e l’italiano Paolo Gentiloni. Lo schema di gioco è noto: andare all’attacco per spingere il Consiglio europeo ad adottare il mix di misure elaborate in queste ultime settimane dalla Commissione, insieme ai compromessi raggiunti dall’eurogruppo dei ministri finanziari dei 19 Stati membri che condividono la moneta unica.

A centro campo, almeno simbolicamente per il suo profilo politico europeo, il Parlamento tradizionalmente alleato della Commissione e determinato a larga maggioranza a sostenerne le proposte e a consentirle di portare a casa il miglior risultato possibile.

Schierati prevalentemente in difesa, rotti da sempre alla tattica del “catenaccio”, i governi nazionali determinati prioritariamente a difendere i propri interessi e preoccupati di dover pagare un conto troppo salato per le proposte portate sul tavolo dalla Commissione con il sostegno del Parlamento.

Dipenderà in gran parte dal gioco del reparto difensivo l’esito della partita ed è questa la tattica che andrà sorvegliata più da vicino, viste anche le divisioni e le tensioni tra i diversi giocatori nazionali.

Fuor di metafora, al Consiglio europeo è facile indovinare che torneranno a confrontarsi da una parte i Paesi rigoristi del centro-nord (Germania, Olanda, Finlandia e Austria) e i Paesi, prevalentemente dell periferie del continente (Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, paesi baltici e Belgio, tra gli altri, ma anche la Francia) che chiedono all’Unione europea un supplemento di solidarietà per rispondere alla straordinaria crisi della pandemia che li ha particolarmente colpiti senza una loro specifica responsabilità.

Le dinamiche saranno complesse e alcune anche in parte occultate da reticenze e ambiguità, come avviene di regola in negoziati come questi. Per dissipare nebbie e malintesi e riuscire a capirci qualcosa di più vale un’antica regola: guardare come questa partita se la giocano Germania e Francia, da sempre in contesa tra di loro e da settant’anni a questa parte obbligati a convivere pacificamente e, per riuscirci, a trovare un accordo tra di loro sostenendo, con intensità e ritmi diversi, il processo di unificazione europea. È di nuovo quello che probabilmente accadrà anche questa volta: da una parte la Germania che sul supplemento di solidarietà frena, ma non troppo, e dall’altra la Francia determinata ad accelerare, ma senza esagerare, consapevole che il volante dell’economia europea è saldamente in mani tedesche e così rimarrà anche all’indomani della crisi, con la speranza che la divaricazione tra i due Paesi non aumenti troppo.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

E l’Italia, in questa partita? Non proprio il giocatore decisivo, ma nemmeno una riserva scesa in campo all’ultimo momento. Non solo perché in quel campo giochiamo da settant’anni, e anche con buoni risultati in tempi più felici degli attuali, ma soprattutto perché restiamo la seconda economia manifatturiera dell’Ue, la terza economia dell’eurozona, siamo un mercato molto appetito anche dalla Germania e, dopo la secessione del Regno Unito, potremmo un giorno pesare di più, almeno come il lato corto di un triangolo scaleno dove il lato più lungo sarà comunque quello tedesco.

Il 23 aprile l’Unione europea è improbabile che faccia il miracolo atteso da molti, ma qualche sostanziale passo in più verso il suo e il nostro futuro forse sì.

Franco Chittolina

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