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Cronache dal Covid-19: come soldati in trincea

Lasciamo parlare gli infermieri del reparto di rianimazione di Alba: combattono per noi una battaglia durissima contro il virus. Li ascoltiamo con gli occhi lucidi e grande rispetto

Cronache dal Covid-19: come soldati in trincea

L’EMERGENZA  Nessuno si aspettava che il coronavirus si catapultasse fin qui, nella nostra graziosa capitale delle Langhe, finché anche i nostri vicini bergamaschi non lo hanno toccato con mano. Da loro è arrivato come un fulmine a ciel sereno: hanno dovuto fronteggiarlo in prima battuta, nel caos più completo, con pochissimi posti letto dedicati alla terapia intensiva, carenza di personale sanitario e assenza di dispositivi di protezione individuale. Così, i bergamaschi si sono confrontati con la morte cruda, silenziosa e solitaria e il contagio a macchia d’olio tra i sanitari.

VECCHIO OSPEDALE
In quei giorni da tregenda, con un panorama del genere sullo sfondo, nel nostro “ospedaletto di campagna” di Alba qualcuno ha iniziato a ridurre l’attività operatoria, mandando qualche infermiere di sala (i tecnici di anestesia) in rianimazione, per addestrarli alle attività di una terapia intensiva. Inoltre, in concomitanza, è stata allestita la tenda per il triage del pronto soccorso. Eravamo tutti increduli, sorpresi e ansiosi di ciò che stava per accadere. In reparto si lavorava come nella quotidianità, ma si respirava anche un’aria pesante; ci sentivamo straniti e attoniti.

IL PRIMO COVID
Pochi giorni ed è comparso ad Alba il primo caso Covid-19 positivo: eravamo ai primi di marzo. C’era molto fermento, ma non volevamo credere che sarebbe stato come in Lombardia. Nel frattempo, la nostra Azienda sanitaria stava già studiando la difesa e l’attacco. Sono state bloccate le attività operatorie (fatta eccezione per gli interventi d’urgenza e salvavita), allestita una rianimazione Covid al posto di alcune sale e aperto un reparto di degenza per i malati di coronavirus. Così, ci siamo ritrovati faccia a faccia con il virus, senza poterci opporre o “frignare” tanto. La nostra Asl in prima battuta ci ha esaminato fisicamente, per non aumentare rischi già enormi, esonerando le persone con patologie croniche gravi. Ci è stata fatta formazione circa i dispositivi di protezione individuale e le modalità di vestizione-\svestizione; inoltre, siamo stati informati sui percorsi sporco-pulito da effettuare per la nostra sicurezza.

IL NOSTRO ESERCITO
Ed eccoci arruolati in questa battaglia. È stato tutto veloce, troppo veloce. Avremmo voluto ancora avere tempo, ma il virus non aspetta. Rispetto ad altre realtà, siamo riusciti ad arrivare un tantino in anticipo, predisponendo mezzi e persone per fronteggiare la battaglia.

Da subito siamo stati un gruppo unito: «Tutti per uno, uno per tutti». Nessuno si è tirato indietro di un millimetro: medici, operatori sociosanitari, infermieri, personale delle pulizie, caposala, primari. Con orgoglio, abbiamo fatto sentire la nostra presenza di professionisti sanitari, davanti allo Stato, alla nostra Asl e ai concittadini. Uniti anche nelle paure, nelle angosce. Negli spogliatoi ci chiediamo l’un l’altro: «Ho mia mamma anziana a casa: come faccio?». «E i bambini? Il mio è asmatico». I dubbi più feroci: «Non ho possibilità di isolarmi e siamo in sei in famiglia». E ancora: «Io soffro di claustrofobia, ce la farò a tenere la mascherina tutte quelle ore?». Ma emerge la tenacia nella consapevolezza del rischio: «Emotivamente resisterò?». «Sarò in grado di vestirmi e proteggermi nel modo giusto?». «Se mi viene voglia di piangere?». «Se mi ammalo? Abbiate cura di me».

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