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In Messico, dove la vita è colore

Questo viaggio di Elisa Pira –una nostra collaboratrice, che ogni anno dedica un mese di tempo al volontariato internazionale – è avvenuto prima della pandemia. Lo pubblichiamo adesso come una speranza

In Messico, dove la vita è colore

IL REPORTAGE  Quest’anno il mio periodo di volontariato mi porta nelle Americhe: la prima tappa è il Messico, dove trascorro un mese. «Che bello, le spiagge e il mare sono bellissimi!», mi dicono alcuni amici prima della mia partenza, quando finalmente rivelo la mia destinazione. «Sei pazza! C’è il cartello della droga, è pericolosissimo», dicono gli altri. Chi ha ragione? Nessuno. La superficie del Messico è oltre sei volte quella dell’Italia. Non andrò né nella zona turistica fatta di mare e spiaggia, a sud-est, raggiungibile tramite un comodo volo charter, né nel Nord del traffico di stupefacenti. Il mio obiettivo sono i due Stati più poveri, ma anche più autentici, nel sud-ovest: Oaxaca e Chiapas.

Due lunghi giorni di viaggio mi portano a Oaxaca, capitale dell’omonimo Stato messicano, quello con maggiore varietà etnica e linguistica. È un miscuglio incredibile di lingue, culture, tradizioni e paesaggi: passo dalla città al deserto, dalle montagne al mare, percorrendo strade interminabili di poche manciate di chilometri, ma ore e ore di tragitto su furgoni scalcagnati. La povertà viene anche dalla totale assenza d’industria: si vive di artigianato e agricoltura. L’artigianato ha mille forme e si nutre della creatività dei messicani: dai tappeti tessuti a mano ai vasi, dalle sculture di legno che rappresentano animali al mezcal, distillato d’agave: la sapienza delle menti si unisce alle abilità manuali e il risultato sono prodotti sorprendenti, che ognuno realizza a suo modo, in una varietà che non conosce limiti, tramandando il mestiere di generazione in generazione.

Sono qui per partecipare a un progetto di volontariato nella capitale, Oaxaca, appunto, ospite di una famiglia del posto. Il mio compito è di supporto a un centro a sostegno dei bambini provenienti da famiglie indigenti, con particolare riguardo alla loro scolarizzazione. Il Centro de esperanza infantil è stato fondato da un’americana e aiuta oltre seicento bambini che versano in stato di bisogno, finanziando, grazie ai numerosi donatori, i loro studi; inoltre, fornisce loro un luogo in cui ritrovarsi per giocare, leggere o fare i compiti. È questo il ruolo che spetta a me e agli altri volontari, persone di ogni età e provenienza: aiutare nello svolgimento dei compiti, dare ripetizioni, organizzare giochi e attività ricreative. Non è semplice, soprattutto nei primi giorni, quelli necessari per conoscersi. Bisogna fare i conti con la scarsità di materiale a disposizione, con l’iniziale diffidenza dei bambini, con le differenze culturali e le carenze educative. Occorre prendere le misure, farsi rispettare, ma anche apprezzare, far divertire e allo stesso tempo educare. Devo capire che Rocio è una bastian contrari e che insistere con lei equivale a prendere a testate il muro; che Azula ha bisogno di attività creative; che Luis Mario va seguito nello studio perché è intelligente, ma ha qualche difficoltà di apprendimento.

In Messico, dove la vita è colore 1Ci vuole poco e si entra in confidenza. Si stringono accordi e raggiungono compromessi, si studia e si gioca. I bambini mi suggeriscono dove andare a mangiare, snocciolano indirizzi di locali in cui si mangia tanto per pochi soldi. Conoscono ogni escamotage per ottenere un piccolo risultato con pochi mezzi a disposizione. Il “farcela” non è in discussione: si può.

Le settimane passano in fretta. L’ultimo periodo lo trascorro viaggiando, perlopiù via terra, come piace a me, col tempo di abituarsi ai paesaggi ed entrare in contatto con le persone. Attraverso le montagne e arrivo al Pacifico, poi via verso il Chiapas e poi ancora più verso est, alla scoperta di una terra meravigliosa, un’immensa distesa di verde che nasconde canyon, immense cascate, rovine rimaste a testimoniare la presenza sul luogo di grandi civiltà. Terre grandiose, ma allo stesso tempo avare per chi le abita: uscendo dalle città e dai circuiti turistici, verso le zone più remote, ci si imbatte in un mondo contadino arcaico e privo di mezzi, nelle case di argilla dei contadini ricoperte da tetti di lamiera, o in bambini che scorrazzano, sporchi, nei cortili insieme agli animali d’allevamento. Ci si imbatte nelle proteste, nei blocchi stradali, nelle manifestazioni. È un mondo che il turista non nota, perché distoglie lo sguardo, per non esserne urtato; ma c’è, e rivendica la sua esistenza. Questa è una terra di contraddizioni, che colpisce per la sua autenticità, per l’ospitalità e la gentilezza dei suoi abitanti, ma la cui povertà arriva forte come un pugno allo stomaco. «La faccia triste dell’America», cantava Enzo Jannacci.

Eppure, il Messico è invece la terra dei colori: tante persone vestono gli abiti tipici, con enormi ricami fatti a mano. Le strade sono piene di gente: chi suona, chi canta, chi vende cibo e chi lo compra. Ovunque, a tutte le ore, si celebrano rumorose feste. Nelle chiese si canta, per le strade si balla. Che si sia poveri o ricchi, la spinta alla vita, caotica, gioiosa e condivisa, accomuna. Lo scrisse anche Frida Kahlo: «La rivoluzione è l’armonia della forma e del colore e tutto esiste, e si muove, sotto una sola legge: la vita».

EnVia: una fondazione per le donne

La fundación EnVia è un’organizzazione no profit con sede proprio nella città di Oaxaca. Con fondi generati da turismo responsabile e donazioni, offre piccoli prestiti a interessi zero a donne che vogliano intraprendere un percorso imprenditoriale. Al momento ne beneficiano le donne di sei comunità della Valle di Tlacolula. In Messico non è facile ottenere prestiti; pertanto, spesso, l’unica soluzione è fare ricorso a “vie traverse”, con tassi insostenibili, creando un circolo vizioso che strozza chi ne viene coinvolto e genera ulteriore povertà.

EnVia si inserisce in questa falla del sistema, fornendo alle donne che ne fanno richiesta piccole somme che consentano loro un investimento iniziale per aprire un’attività imprenditoriale, ma, allo stesso tempo, non le lascia sole: crea gruppi, affinché nessuna si senta isolata e ciascuna sia di aiuto e supporto alle altre; fornisce lezioni di base di economia, perché le donne siano in grado, prima di partire, di creare un progetto efficace e strutturato e, una volta avviato, sappiano come gestire ricavi e guadagni, reinvestendone una parte, così generando ulteriore business e creando circuiti virtuosi.

Perché EnVia si rivolge solo alle donne? Lo dimostrano i dati: le donne sono più propense a restituire, a utilizzare il guadagno non per sé stesse, ma per il benessere di tutta la famiglia e a reinvestire una parte dei ricavi per far crescere l’attività, generando reddito. Il tasso di restituzione del prestito è altissimo, quasi il 100 per cento. La prima tranche (i “lotti” sono tre) ammonta a una sessantina di euro, che devono servire per avviare l’attività: è incredibile quanto queste donne riescano a fare con una somma tanto limitata. Lo chiedo direttamente ad alcune di loro, che conosco proprio grazie alla fondazione, partecipando a un tour volto a far “toccar con mano” ai donatori la realtà e la validità del progetto. Ho parlato con Teresa, che ha aperto una caffetteria e fa tortillas deliziose. Ho conosciuto Ermelinda, Juanita e Brenda, che tessono tappeti con disegni della tradizione zapoteca, il loro gruppo etnico di appartenenza. Ho incontrato, nella parte più rurale della regione, le contadine: Rosa, che vende semi e animali da cortile ai mercati, e la figlia Flor, che invece nelle campagne vende da catalogo scarpe e biancheria, che va di persona a ritirare in città. Sono tutte molto grate per la possibilità che è stata fornita, ma sarebbero loro a dover essere ringraziate, per aver saputo mettersi in gioco creando una speranza e dimostrando a sé stesse, alle famiglie e al villaggio che anche in quelli che ci sembrano vicoli ciechi, a volte, a cercare bene si trova un pertugio.

La fondazione EnVia organizza itinerari per conoscere di persona le donne coinvolte nel progetto: è possibile donare on-line attraverso il sito www.envia.org, dove sono reperibili informazioni e dati aggiornati.

Elisa Pira

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