Mercalli: l’uomo rischia quando invade gli ambienti dei selvatici

«Nessuno si muove per prevenire: abbiamo “paura di nuocere all’economia”. Il preavviso che ci ha dato il coronavirus era di un mese, ma quello legato al clima e al surriscaldamento globale è chiaro da decenni»

Mercalli: l’uomo rischia quando invade gli ambienti dei selvatici

L’INTERVISTA Luca Mercalli è un meteorologo piemontese ben noto per la sua esperienza scientifica e per le battaglie ambientaliste: ha scritto molti libri sulla tematica ecologica e sull’urgenza di un cambiamento immediato nelle pratiche umane. Lo abbiamo cercato per sentire la sua spiegazione.

Parliamo dell’emergenza sanitaria. L’azione umana verso la natura può essere considerata responsabile della propagazione del virus Covid-19, Mercalli?

«Certamente. Sono molti i punti di contatto tra i due fenomeni. Il principale riguarda il degrado progressivo degli ecosistemi. L’uomo si insinua e si espande nei territori degli animali selvatici, invece di proteggerli e preservarli. Questi mondi animali sono caratterizzati dalla presenza di molti organismi invisibili, come i virus, appunto, che rischiano di “fare il salto” sugli umani e generare pandemie. Quindi, la responsabilità è da rintracciare nell’invasività delle nostre industrie e dei commerci umani. Lo dicono virologi, botanici ed ecologi. Più si disturbano quei pochi ambienti naturali rimasti intatti, più si rischia di innescare circoli di contagio».

Quali pratiche andrebbero abbandonate?

«Esistono fenomeni che incidono molto negativamente sugli ambienti naturali e sulla loro ricchezza: deforestazione, sovrappopolazione, ricerca compulsiva del petrolio e sfruttamento agricolo. Da almeno trent’anni avvisiamo il mondo della nocività di queste pratiche, ma nessuno ci ha finora ascoltato. L’avvento di un nuovo e destrutturante virus era stato previsto già alcuni anni fa. Semplicemente, non abbiamo voluto agire in tempo».

Insomma, dobbiamo cambiare paradigma di riferimento dal punto di vista economico e produttivo?

«Sappiamo da almeno 40 anni che l’attuale sistema è inadeguato a confrontarsi con la salubrità dei parametri ambientali. La mia opinione è che la pandemia rappresenti solo un esempio di tutte le crisi che incontreremo in futuro. Che cosa faremo quando nei mari avremo più plastica che pesci? Ci sarà un punto di rottura, esattamente come sta avvenendo oggi. Anche il coronavirus ci aveva avvisato: i prodromi in Cina erano visibili alla fine del 2019. Che cosa abbiamo fatto? Niente. Fino a quando non abbiamo avuto in casa nostra il problema. Nessuno si muove per prevenire, perché abbiamo “paura di nuocere all’economia”. Il preavviso che ci ha dato il virus era di un mese, quello legato al clima e al surriscaldamento globale dura ormai da trent’anni».

Esiste invece una correlazione tra diffusione del virus e inquinamento?

«È meglio evitare di spargere altre paure. Non abbiamo ancora delle prove scientifiche e solide al riguardo. Ad esempio, Bergamo risulta meno inquinata di Torino, eppure nella città lombarda il virus ha colpito con maggiore ferocia, finora».

LO STUDIO: I danni alla natura sono un vero boomerang

«Riguardo agli studi sulla diffusione dei virus nella popolazione vi è una solida letteratura scientifica che correla l’incidenza dei casi d’infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico, come il Pm10 e il Pm2,5». Così, un recente studio fatto dalla Società italiana di medicina ambientale, in collaborazione con l’Università di Bari, introduce il legame tra emergenza sanitaria e curva dei contagi.

Sebbene serva cautela perché non sono ancora state prodotte analisi statistiche, è molto probabile che l’azione umana perturbante sull’ambiente possa essere corresponsabile della crisi. Prosegue lo studio: «È noto che il particolato atmosferico funziona da carrier, ovvero da vettore di trasporto per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus».

Un altro fenomeno che correla la devastante azione umana con l’emergenza sanitaria è stato pubblicato la scorsa settimana dall’Università di Stanford, in California: stando ai ricercatori le riduzioni dell’inquinamento dovute alla diminuzione della produzione e dei trasporti negli ultimi due mesi potrebbero salvare migliaia di vite: 4mila bambini sotto i 5 anni e più di 70mila adulti oltre i 70. I dati sono riferiti alle centraline di Pechino, Shangai, Chengdu e Guangzhou. In Italia, l’Agenzia europea per l’ambiente ha stimato che le morti premature da esposizione a lungo termine a polveri sottili (Pm10 e Pm2,5), biossido di azoto (NO2) e ozono (O3) superino quota 80mila. La Lombardia sarebbe una delle  regioni peggiori in questi termini.

I ricercatori sottolineano, peraltro, come la pandemia in corso potrebbe provocare molti più morti rispetto all’inquinamento. Ma lo studio di Stanford rivela conseguenze drammatiche: se gli impianti produttivi proseguiranno nella loro invasività, cioè crescita a ogni costo e azione inquinante, potrebbero contribuire a rendere il Covid-19 solo il primo avviso di una serie di catastrofi. Non è tuttavia con la paura o con il senso d’impotenza che si può reagire a questa situazione.

Ognuno può iniziare la propria battaglia ecologista a partire dalle parole e dai gesti quotidiani: infatti, solo agendo dal basso sarà possibile introdurre un cambiamento fino ai livelli più elevati delle gerarchie economiche oltre che politiche.

Roberto Aria

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