«Anche sulle colline del Barolo la violenza della chimica spezza l’armonia naturale»

«Anche sulle colline del Barolo la violenza della chimica spezza l’armonia naturale»

LA PRODUTTRICE  Carlotta Rinaldi è una giovane produttrice: lavora nell’azienda di famiglia, la cantina Giuseppe Rinaldi. È suo il racconto: «Non siamo certificati per il biologico, ma da molti anni pratichiamo un’agricoltura senza trattamenti chimici. In questi giorni, abbiamo assistito a qualcosa di molto spiacevole». E spiega, in riferimento alla quarantena: «Guardiamo fuori dalle finestre e vediamo la natura riprendere fiato, in un silenzio fatto di melodie e voli di uccelli, fronde mosse dal vento e cielo libero; si sente il via vai dei trattori a cingoli o qualche rara auto di passaggio, ma quasi in sottofondo.

Purtroppo, però, sulle colline di Barolo la violenza giallorossa del passaggio del diserbo chimico interrompe l’armonia di colori e violenta lo sguardo. Fin dalle prime settimane di marzo, si è osservato un massiccio ritorno all’utilizzo degli erbicidi per la gestione dei sottofila; quest’anno anche i più noti cru, o menzioni, non sono stati risparmiati: da Paiagallo a Terlo, da Brunate a Ravera, anche sulla collina dei Cannubi si osserva, senza neanche avere un occhio troppo attento, quel giallo ramato, che, per chi ama la viticoltura, è uno spettacolo orrido: un po’ biodistretto, con qualche striscia di veleno».

Molti produttori starebbero impiegando diserbante a causa del timore di non avere manodopera in grado di lavorare la terra, a causa della pandemia, mentre i dipendenti delle cooperative in questa stagione aiutano nella gestione del sottofila a mano, con i decespugliatori. Ma Rinaldi ritiene che dire questo non sia sufficiente: «Davvero vogliamo raccontarci che le aziende di Barolo, che vendono vini a prezzi elevati in cambio di una qualità eccellente, non possono sopperire a una primavera con meno dipendenti in campagna?». E conclude: «Il problema è una sostenibilità azzoppata, in cui il profitto prevale sempre e comunque, e l’etica – cioè una viticoltura di qualità, virtuosa e soprattutto sana – vacilla e viene meno al primo intoppo. Quale studio si deve ancora presentare per convincere tutti che il diserbo chimico, con il glifosato, il formulato più utilizzato, è universalmente confermato essere dannoso per gli agroecosistemi, le acque, la salute umana, degli insetti impollinatori e degli organismi benefici del suolo? Siamo convinti che si distruggono le strutture del terreno, si creano carenze, per poi ricorrere al sovescio (una pratica agronomica consistente nell’interramento di apposite colture allo scopo di mantenere o aumentare la fertilità del terreno), che però fa tanto biologico? L’unica cosa che sta respirando a pieni polmoni, in questo difficile periodo pandemico, è la natura. Se questa è la nostra risposta ai problemi, abbiamo già perso».

m.v.

INCHIESTA: SE IL VELENO ARRIVA IN TAVOLA

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