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Fallimento: per ora la nuova normativa dovrà attendere

L’avvocato Gramaglia illustra le novità che l’emergenza Covid-19 ha rimandato al 2021

Fallimento: per ora la nuova normativa dovrà attendere

IMPRESE Sarebbe entrato in vigore il 15 agosto, ma la sua applicazione è stata rinviata fino al 1° settembre 2021. Parliamo del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Uno strumento atteso da tempo, che il Governo ha deciso però di fare slittare, considerate le forti criticità del periodo.

L’introduzione di questo codice – che andrà a soppiantare la legge fallimentare del 1942 – è stata differita dal decreto Liquidità o decreto Imprese (8 aprile 2020, n. 23), che comprende interventi finanziari a sostegno delle attività economiche. Con l’avvocato albese Dario Gramaglia, abbiamo approfondito l’argomento.

Quali sono le ragioni alla base del differimento?

«La scelta è stata dettata, innanzitutto, dalla situazione generale di crisi che si è verificata con l’emergenza Covid-19, la quale ha portato alla chiusura della quasi totalità delle imprese italiane».

Quindi, in questo momento in cui il Paese è colpito da un’emergenza senza precedenti, il Governo ha ritenuto inappropriata l’introduzione del codice, in quanto strumento pensato per le crisi “ordinarie” d’impresa?

«Certo. Infatti, era impensabile, nello stato emergenziale che si sta vivendo, che le imprese dovessero già fare i conti con la novità più rilevante e cioè con il sistema delle cosiddette misure di allerta volte a provocare l’emersione anticipata della crisi. Il sistema dell’allerta, infatti, è stato concepito nell’ottica di un quadro economico stabile e non di quello in cui la preponderanza delle imprese è colpita dalla crisi: gli indicatori non potrebbero svolgere alcun ruolo concreto».

Perché serve una nuova legge fallimentare?

«Ci sono ragioni tecniche importanti ma, di fondo, la legge fallimentare attualmente in vigore è stata emanata nel 1942 e, nonostante i correttivi apportati negli anni successivi, aveva comunque un impianto non più allineato con il sistema economico, giuridico e commerciale del nuovo millennio. Inoltre, era necessario adeguarsi al regolamento dell’Unione europea del 20 maggio 2015 sull’efficienza e sull’efficacia delle procedure di insolvenza per il buon funzionamento del mercato interno».

Quali le novità e i benefici principali previsti dal nuovo codice, rispetto alla legge fallimentare del ’42?

«Il codice ha come filosofia di consentire la ristrutturazione delle imprese che sono in grado di recuperare la continuità aziendale, mentre l’adozione dello strumento liquidatorio – quello che ancora oggi è definito fallimento – diventa una extrema ratio, a cui ricorrere in assenza di concrete alternative. Per questo motivo, la nuova legge prevede che lo stato di crisi debba essere rilevato tempestivamente e siano adottate idonee iniziative per fronteggiarlo e gestirlo tramite organismi appositi».

L’attuale legge fallimentare sarà soppiantata del tutto o solo in parte dall’entrata in vigore del nuovo codice?

«Sarà abrogata completamente. Oggi, però, continua a essere applicata in pieno, in ragione del rinvio fino al 1° settembre 2021».

Nel frattempo, è vero che i fallimenti sono stati sospesi fino al 30 giugno? Dopo questa data, cosa succederà al riguardo?

«Il decreto legge prevede che le istanze di fallimento presentate tra il 9 marzo e il 30 giugno saranno dichiarate improcedibili. Ciò non toglie che il creditore possa ripresentare la stessa istanza nei giorni seguenti. Per le istanze presentate prima del 9 marzo, tutte le udienze sono state rinviate dopo il 12 maggio. Ogni Tribunale sta adottando dei protocolli per le modalità di svolgimento delle udienze. Per il Tribunale di Asti, il protocollo condiviso tra magistrati e avvocati dovrebbe uscire nei prossimi giorni».

LA CRISI DOVUTA AL COVID-19 NON ESIME DAL FALLIMENTO

A fronte dell’attuale recessione economica, il rinvio del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza cosa può comportare? L’avvocato Gramaglia spiega: «Il rischio è l’incremento esponenziale delle sentenze di fallimento. L’articolo 5 della legge in vigore prevede che l’imprenditore insolvente, cioè non più in grado di soddisfare i creditori, debba essere dichiarato fallito. L’impresa non ha la possibilità di difendersi sostenendo che è stata costretta a interrompere l’attività per l’emergenza sanitaria o che, a sua volta, non ha ricevuto pagamenti dai clienti, i quali li hanno sospesi per la chiusura imposta dalla legge».

Conclude l’avvocato: «È un vortice in cui rischiano di finire quasi tutte le imprese, specie quelle piccole e medie. Perciò, molte associazioni di categoria hanno chiesto che nella legge di conversione del decreto legge 23/2020 (il Parlamento deve emanarla entro i primi giorni di giugno) sia previsto il caso di forza maggiore quale esimente dal fallimento».

Manuela Zoccola

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