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Gli asili nido rischiano di non farcela ad aprire

IPOTESI DI ACCESSO SOLTANTO PER BIMBI CHE HANNO ENTRAMBI I GENITORI OCCUPATI; CIRIO: NON SI POTRÀ PENSARE A RIAVVIARE IL LAVORO SENZA DARE AIUTO ALLE FAMIGLIE

Gli asili nido rischiano di non farcela ad aprire

FASE DUE  «Tra qualche settimana dovrei tornare al lavoro: a chi affido il mio bambino?». Chiara ha 35 anni ed è mamma di Mattia, due anni. È una professionista, fa l’architetto: negli ultimi due mesi ha lavorato dal tavolo della cucina, trasformato in ufficio, tra giochi e pappe. «Potrei proseguire in parte l’impegno in smart working. Ma, una volta che riprenderanno i cantieri, il lavoro m’imporrà di spostarmi per sopralluoghi e misurazioni». Prima del coronavirus, Chiara ha sempre affidato il bambino a un asilo nido privato di Alba. Ora, oltre a ottimizzare al massimo la suddivisione dei compiti con il marito, anche lui libero professionista, sta cercando una baby-sitter, «ma non so proprio da dove cominciare, perché ormai sia io che Mattia siamo abituati agli orari e alle dinamiche del nido», ammette.

In questo momento, in Italia, sono tante le donne che si trovano nella stessa situazione –senza strutture disponibili, con i nonni all’improvviso impossibilitati a occuparsi dei nipoti a causa dell’età –: conciliare lavoro e famiglia sarà ancora più difficile.

E lo sarà anche per gli oltre cinquemila asili nido privati italiani, che accolgono bambini da zero a tre anni. A questi, si aggiungono settemila scuole dell’infanzia private. Da Nord a Sud, stanno nascendo comitati di protesta dei gestori, che sollevano le problematiche relative alla categoria: senza le rette, con una serie di spese di gestione da continuare a sostenere e non pochi investimenti per garantire il funzionamento delle strutture nel momento della riapertura, il futuro non pare roseo. Perché, se l’esigenza primaria è la sicurezza di bambini ed educatori, l’attività dev’essere sostenibile per poter proseguire. Una missione non semplice, se si pensa che anche l’utenza potrebbe essere ridotta, qualora venisse confermata dal Ministero dell’istruzione l’ipotesi di permettere l’accesso ai nidi e alle materne solo ai bambini con entrambi i genitori che lavorano. In più, dovrebbero aumentare gli interventi di sanificazione e c’è chi parla della necessità di assumere più personale, per seguire meglio i piccoli e rispettare le norme di prevenzione. Investimenti necessari, ma in molti casi difficili da sostenere.

Gli asili nido rischiano di non farcela ad aprire 1In Piemonte: quindici milioni di euro pronti

Secondo l’associazione Assonidi, a Milano rischierebbe di chiudere il 40 per cento dei nidi privati. Per quanto riguarda il Piemonte, il governatore Alberto Cirio ha lasciato aperto uno spiraglio e dei fondi: «Non si possono far ripartire le aziende e le attività, senza offrire soluzioni ai genitori», ha affermato.

Nel frattempo il Politecnico di Torino, a cui è stato affidato il compito di sviluppare linee guida per la Fase 2, sta pensando a nuove forme di gestione. Dal punto di vista economico, la Regione ha lanciato una prima misura a sostegno dei nidi e delle scuole dell’infanzia pubbliche e private, che seguono bambini da zero a sei anni. Si tratta di un fondo da 15 milioni di euro, la cui distribuzione passerà attraverso i Comuni, che devono eseguire un monitoraggio delle diverse strutture. Per ognuna, su un’apposita piattaforma on-line, si dovrà indicare il numero di bambini frequentanti, in base al quale avverrà lo stanziamento delle risorse. Se il nido o la scuola hanno continuato a percepire le rette mensili, dovranno restituirle, altrimenti non si potrà accedere al finanziamento. A parte il contributo regionale e il bonus nazionale di 600 euro per le partite Iva, non sono previsti al momento altri fondi per queste realtà private, che si trovano a fare i conti con un futuro incerto. Come quello dei tanti genitori che si affidavano a loro. Basti pensare all’Albese, che conta undici asili nido, di cui solo uno comunale: tutti gli altri sono privati, compresi i baby-parking, che possono ospitare un massimo di 25 bambini per determinate fasce orarie.

Di Cristo (cooperativa Alice): per noi è difficile il distanziamento socialeGli asili nido rischiano di non farcela ad aprire 2

Da parte delle famiglie, oggi percepiamo un grande bisogno del nido, ma la situazione continua a essere molto incerta». Loredana Di Cristo è la responsabile del servizio degli asili nido per la cooperativa Alice di Alba, che gestisce diverse strutture sul territorio: Il fiore di Alba, privato, e i nidi di Vezza, Ceresole e Castagnito, che sono in concessione dal Comune.

Si tratta, in tutto, di una novantina di bambini, a cui corrispondono altrettante famiglie che si troveranno nei prossimi mesi senza il supporto necessario. «Abbiamo ricevuto molte iscrizioni per settembre e stiamo cercando di pensare a modalità organizzative per garantire la sicurezza di tutti, in attesa che vengano emesse linee guida specifiche. Per quanto riguarda gli asili in concessione, in alcuni casi, ci stiamo già confrontando con i Comuni, per capire come si vorrà procedere: stiamo pensando a un maggior utilizzo degli spazi aperti e a gruppi più piccoli, ma per i bambini è molto difficile parlare
di distanziamento».

In più, c’è la sostenibilità del servizio: «Da marzo, abbiamo sospeso le rette e al momento abbiamo fatto richiesta per il contributo regionale. Stiamo ora iniziando a calcolare le perdite e si parla di cifre importanti: tutto, però, dipenderà dalla ripartenza e dalle norme che sarà necessario rispettare in concreto e da quando».

Gli asili nido rischiano di non farcela ad aprire 3Tata Beba e i suoi cinque piccoli

Sono passati undici anni da quando Barbara Tuninetti ha aperto il suo nido in famiglia, in via Margherita di Savoia ad Alba. Una piccola realtà, con pareti, giochi e sedioline colorate, che può accogliere fino a un massimo di cinque bambini, da tre mesi a tre anni.

«La situazione è molto dura per la nostra categoria e in particolare per le piccole realtà come la mia. Se penso al futuro, non so proprio come il mio asilo riuscirà a sopravvivere», dice Barbara, tata Beba per i suoi bambini. Prima questione da affrontare, il fermo dell’attività: «Con le rette di appena cinque famiglie e tante spese, arrivare a fine mese non era facile nemmeno prima del coronavirus. Ma questo lavoro è la mia passione e negli anni tutto è andato per il meglio, fino a oggi. Per il momento, ho percepito i 600 euro di marzo per le partite Iva e ho fatto richiesta per il finanziamento regionale, ma non so quando riceverò i fondi: mi sembra difficile pensare che a settembre tutto tornerà alla normalità».

In più, al momento le iscrizioni sono ferme: «Dal momento che il mio è un asilo familiare, prima dell’iscrizione si organizzano colloqui e incontri in struttura con le famiglie, che al momento non posso svolgere, rischiando di rimanere senza iscritti».

La seconda questione riguarda l’organizzazione dell’attività, che dovrà essere rivista per ragioni di sicurezza: «Al momento, non abbiamo indicazioni ufficiali, ma può essere che ci chiedano di ridurre il numero dei bambini. Chiaramente, con solo due bambini, sarebbe molto difficile andare avanti. Al di là dell’aspetto economico, sarà in generale molto complesso rivedere gli spazi e le attività, che di solito sono basate sulla socializzazione e sul gioco: parliamo di bambini piccoli, che è difficile tenere lontani l’uno dall’altro, appena iniziano a muoversi. Ma, prima di tutto, è fondamentale garantire la salute di tutti: per questo, sarebbe importante avere linee guida dettagliate».

In queste settimane, Barbara sta cercando di mantenere comunque i contatti con i suoi piccoli ospiti: «Invio loro i miei video con storielle e piccole attività, che possono anche aiutare i genitori a trascorrere il tempo in casa».

f.p.

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