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La Caritas è innamorata del futuro delle persone

Ne parla don Mario Merotta, direttore da settembre 2019 per la diocesi di Alba, e ora anche responsabile dell’emporio solidale Madre Teresa, al quale si rivolgono molte famiglie assistite pure in emergenza coronavirus

La Caritas è innamorata del futuro delle persone

L’INTERVISTA  Don Mario Merotta, da settembre del 2019, è il sacerdote direttore della Caritas diocesana. Da quando è scoppiata l’emergenza coronavirus è anche responsabile dell’emporio della solidarietà, il negozio che distribuisce generi alimentari tra le persone in temporanea difficoltà economica, accompagnandole nel percorso di ricostruzione di nuove opportunità e legami.

Non solo in emergenza ma anche durante il tempo ordinario, Caritas svolge un lavoro che va ben oltre l’assistenza materiale alle persone in difficoltà. Come state lavorando, don Merotta?

«La Caritas fin dalle origini, oltre alla funzione immediata di prossimità ai più fragili, ha un ruolo educativo e lavora per l’animazione di tutta la comunità e per lo sviluppo integrale dell’uomo. L’obiettivo è ritornare a queste origini. Il nostro lavoro più importante oggi è riconoscere i bisogni, le difficoltà, stare nelle zone oscure del sociale. Interveniamo a fianco di chi ha bisogno, potenziando le sue risorse e capacità di recupero, in modo che le persone possano procedere in autonomia. Questa funzione è molto differente da quella assistenzialistica. Vogliamo innamorarci del futuro delle persone, e farlo nel senso più ampio possibile».

Come si può concretizzare questo lavoro?

«L’aiuto materiale (come la distribuzione dei generi alimentari a chi è in difficoltà) è uno delle tante braccia operative della Caritas. L’obiettivo è introdurre una nuova cultura dell’aiuto e del vivere sociale. Una delle modalità in cui maggiormente crediamo è quella della rete; lavoriamo in stretta integrazione con istituzioni come il Comune e il Consorzio socioassistenziale, associazioni di volontariato, imprenditori, commercianti e piccoli artigiani».

Un esempio è l’Emporio solidale, che unisce la solidarietà, la prevenzione dello spreco e la responsabilizzazione sociale. Come evolve questa macchina in tempo di emergenza sanitaria?

«In questo periodo effettuiamo circa 450 consegne di borse alimentari ad altrettante persone e famiglie nel territorio della diocesi. L’Albese è ricco, ma esistono ampie sacche di disagio. Tra i soggetti in difficoltà economica ci sono decine di nuclei familiari e persone sole che necessitavano di supporto da tempo. In questi due mesi di lockdown, si stanno rivolgendo a noi anche altri individui e persino piccoli imprenditori che a causa dell’epidemia di Covid-19 hanno dovuto chiudere e non riescono a far fronte con serenità alle spese».

Ma l’Emporio non è soltanto un luogo frequentato da persone in difficoltà.

«L’intenzione è trasformarlo anche in un luogo di formazione, in un centro di aggregazione culturale, uno spazio di condivisione in cui le persone più fragili che vengono a far la spesa abbiano la possibilità di soddisfare altri bisogni e creare nuove relazioni. La grande presenza di giovani in questo periodo è testimonianza dell’apertura progressiva dei confini dell’emporio solidale».

Roberto Aria

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