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Roberto Longhi e i primi passi nella sua Alba

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Roberto Longhi ritratto da Ghitta Carell.

IL PERSONAGGIO Il 9 settembre del 1949, un trafiletto sul settimanale Corriere albese segnalava, con soddisfazione, la chiamata di Roberto Longhi sulla cattedra di storia dell’arte medievale e moderna all’Università di Firenze. Sul periodico, scarno come d’obbligo ma assai vivace, ci si compiaceva di un nuovo prestigioso passaggio nella carriera accademica di Longhi visto come un concittadino.

Lo storico dell’arte, scrittore e maestro (ironico, magnetico) di allievi straordinari – Francesco Arcangeli, Mina Gregori, ma anche Giorgio Bassani e Pier Paolo Pasolini – stava per compiere 59 anni: e ad Alba, dov’era nato, non risiedeva più dal 1913, dalla morte del padre Giovanni, docente di cultura generale – italiano, storia, geografia, aritmetica – e contabilità agraria nella Regia scuola enologica fin dal 1886. Ma la manifestazione di concittadinanza, da parte albese, non era soltanto dettata da una forma di deferenza: è probabile che il ricordo della famiglia Longhi, per quanto già lontano, dovesse allora permanere in più d’uno. Ma lo stesso Roberto Longhi, seppure fisicamente distante e spiritualmente di casa in un universo culturale europeo, non dimenticò mai la sua città natale, e i concittadini Beppe Fenoglio, per cui molto fece, e persino Pinot Gallizio, che soltanto sfiorò, in extremis, attraverso la sua allieva Carla Lonzi.

Roberto Longhi e i primi passi nella sua Alba

La città oggi lo ricorda anche con una via e una targa, posta nel 2005 per iniziativa del Lions club – presidente Augusto Martini – sulla facciata del civico 9 di via Maestra, la casa dov’era nato il 28 dicembre 1890. Morì a Firenze cinquant’anni fa, il 3 giugno 1970, nella villa Il tasso, che dal 1939 fu la casa sua e di sua moglie, la scrittrice Anna Banti, e per molti allievi un ambiente di eletta formazione, una scuola-officina in cui si entrava a contatto, nel vivo, del metodo e della mente di Longhi, in simbiosi con la sua raccolta privata di opere d’arte che era lo specchio, mai fermo, sempre interrogato, della sua ricerca con opere dal Duecento a Caravaggio a Morandi, come recitava il titolo della mostra della fondazione Ferrero del 2007.

Intitolazioni e targhe ci invitano, oggi, a farci un poco concittadini di Roberto Longhi: nel senso, per lo meno, di provare a immaginarcelo, ragazzino, nei paraggi, ritrovandone qualche possibile traccia nell’Alba a cavallo tra le età crispina e giolittiana. Una cittadina che era quel grosso paese, sede episcopale e di mercati, che conosciamo, retto da possidenti e professionisti, notabili liberali di diversa corrente, da Coppino a Calissano, in conflitto o dialettica con un universo cattolico, anch’esso sfaccettato, politicamente in ascesa. Vi era anche, diremmo eroicamente minoritario, un movimento socialista: e socialisti erano entrambi i genitori di Longhi, maestri elementari di origine emiliana trasferiti ad Alba appunto per l’incarico del padre Giovanni all’appena costituita Enologica. È possibile supporre che la chiamata fosse giunta anche per la comune origine modenese, di Concordia sulla Secchia, del primo fondamentale direttore, Domizio Cavazza.

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Roberto Longhi da bambino ad Alba.

È interessante notare come nel cuore della moderna e necessaria scuola, che rivoluzionò la concezione e il modo di condurre coltivazione e produzione vitivinicola, vi fosse più di un scintilla culturale socialista, che, nell’istituto che offriva sbocco nei vigneti degli agrari, si orientava a dare strumenti, se non organizzazione, anche alla popolazione dei piccoli proprietari contadini. Tentiamo di figurarcelo, Giovanni Longhi: ne viene fuori, in mancanza di ritratti, un’ipotesi di maestro deamicisiano, un turatiano, non un massimalista; un uomo che – questo lo sappiamo – di concerto con la moglie, offriva con entusiasmo ai tre figli libri e occasioni di cultura. Roberto, il minore, certo ne beneficiò: De Amicis, tra gli altri, finisce presto tra le letture del bambino (oltre 160 libri letti a 8 anni, annota in un suo quadernetto) che disegna anche benissimo, né mai smetterà di farlo, per piacere ma anche come mezzo di analisi. Ad Alba il giovane Longhi frequenta il ginnasio, visita chiese, perlustra la campagna in bicicletta; qui immagazzina, istintivamente e con studio, le prime testimonianze di pittura e scultura che, si presume, lo indirizzeranno verso un gusto, una familiarità, una sensibile facoltà di indagine.
Ricordiamo che proprio in occasione della mostra albese Mina Gregori (allieva di Longhi a Bologna e destinata a succedergli sulla cattedra fiorentina) disse che venire ad Alba era stato per lei illuminante. Di un’infanzia di cui poco in dettaglio si sa, la distanza di un secolo non aveva cancellato del tutto i segni. Certi dipinti: il Concertino del caravaggesco Mattia Preti conservato in Municipio; il Macrino e il Barnaba da Modena (ancora Modena) in San Giovanni…

Ma Gregori scoprì inoltre che «la sua casa natale ha accanto un bellissimo palazzo con delle terrecotte tardogotiche (casa Do, nda). Anche questa per me è stata un’esperienza importante, per capire certi interessi di Longhi in questa direzione, che si credeva concretizzarsi in Lombardia – queste terrecotte erano lombarde. Invece c’era, accanto a casa sua, un palazzo di questo tipo». Proviamo dunque, come agile forma di celebrazione, a fare due passi con il nostro Roberto Longhi.

Edoardo Borra

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