Un Paese che riparte senza tener conto dei bambini è destinato a soccombere d’una malattia senza vaccini

Alla ricerca del bene comune  in una società frammentata con Francesco Belletti direttore Cisf

LETTERA AL GIORNALE In questi giorni di programmazione della Fase 2 post Covid-19, si è parlato di come far ripartire fabbriche, uffici, fiorai, ristoranti, parrucchieri, stabilimenti balneari, campionato di calcio.

L’unica cosa che non riaprirà sarà la scuola. La ministra Azzolina è stata perentoria: se ne riparla a settembre, forse. Mentre si parla di esame di maturità e di didattica a distanza, la grande assente sembra la fascia 0-6 anni. Con nidi e scuole dell’infanzia chiusi, genitori sul luogo di lavoro o in smart working (che è lavoro a tutti gli effetti), nonni esclusi in quanto categoria a rischio, i piccoli si ritrovano in un vicolo cieco.

Ci sono i congedi e i bonus baby-sitter: peccato che da qua a settembre non possano rappresentare la soluzione a meno di non vedere un aumento esponenziale della povertà (uno stipendio al 50% per 4-5 mesi non è sufficiente per tanti nuclei familiari, e lo stipendio di una baby-sitter a tempo pieno è superiore a 600 euro mensili). Secondo l’Istat, in Italia solo il 50,4% delle donne tra i 15 e i 64 anni è occupato. In Europa siamo al fondo della classifica, prima di Grecia, Montenegro, Macedonia e Turchia. Le associazioni che si occupano di disparità di genere avvertono che senza un piano per la gestione dei bambini, moltissime donne, che spesso hanno uno stipendio inferiore o lavorano part- time, saranno costrette a lasciare il lavoro.

«Ma la scuola non è un parcheggio!», si sente tuonare a gran voce, spesso da chi non ha figli, non lavora o, peggio ancora, da alcuni (pochi per fortuna) insegnanti. Dico peggio ancora perché proprio chi lavora in ambito educativo dovrebbe rendersi conto che la scuola non è (solo) un parcheggio, è molto di più, un di più che in questi mesi è mancato e continuerà a mancare per chissà quanto. Cerchiamo di non essere ipocriti: la scuola non è un parcheggio, vero, ma quante donne metterebbero al mondo figli senza una rete di supporto educativa per i piccolissimi? Se l’indice di natalità in Italia è basso, senza asili nido e scuole dell’infanzia sarebbe ancora più basso. Se non lo è, un plauso va ai nonni, che con grandi sacrifici di tempo e a volte di salute si sostituiscono allo Stato.

Quello che manca nell’organizzazione della Fase 2 è l’attenzione ai bisogni delle famiglie, con enfasi a categorie delicate come genitori soli o separati, soggetti con disabilità o bisogni specifici. Se nella zona il ruolo e la presenza dei nonni sono fondamentali, questi non possono e non devono sostituire la scuola, a livello educativo e di relazione con i coetanei: non è giusto. La mia speranza, da madre lavoratrice (e che tale vuole restare), è che Regione e Governo accelerino sulla questione della cura dei bambini; che venga fornito un supporto economico o, in alternativa, permessa una qualche forma di riorganizzazione delle strutture educative: in sicurezza, all’aperto, in piccoli gruppi anche alternati, come in altri Paesi. Un Paese che riparte senza i bambini è destinato ad ammalarsi di indifferenza. E per questa malattia non c’è vaccino che tenga. #noncisiamo

i.b., Santa Vittoria

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