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Correntismo in magistratura: a Palamara Tarditi non piace

Correntismo in magistratura: a Palamara Tarditi non piace

IL CASO Telefonando a Tempio Pausania, in Sardegna, ci si sente rispondere da una voce gentile che il dottore non è in ufficio fino a oltre metà giugno. Tentar non nuoce, ma pare peraltro difficile, conoscendolo, che Luciano Tarditi – braidese, una carriera di brillante sostituto ad Asti – intenda commentare le notizie di stampa sul suo conto. Le voci che lo vedono coinvolto sono quelle che emergono dal brutto affaire legato a Luca Palamara: l’indagine della Procura della Repubblica di Perugia sul sistema di assegnazione degli incarichi in magistratura. L’Unione sarda ha di recente pubblicato l’intercettazione che cita il magistrato piemontese di stanza a Tempio. Da qui emergerebbe che Tarditi, non facendo parte del “giro”, si sarebbe visto chiudere le porte delle Procure di Imperia, Cuneo e Vercelli. Ne parliamo con l’avvocato albese Roberto Ponzio.

Il caso Palamara sta dominando le cronache di questi giorni. Avvocato Ponzio, che cosa ne pensa?

«Senza entrare nel merito di singoli casi, dalle intercettazioni emerge il correntismo in magistratura e una spartizione delle posizioni di potere. Nulla di nuovo sotto il sole. Stupisce, però, e sconcerta l’entità e la ramificazione del fenomeno. Il quadro è deplorevole e più grave di quanto si potesse fin qui ipotizzare».

Come esce da questa vicenda la magistratura?

«Non si deve mai generalizzare, anche se è concreto il rischio che questo scandalo possa intaccarne il prestigio».

In una chat Palamara, riconoscendo che Salvini non aveva commesso reati, manifesta l’idea d’attaccarlo.

«È agghiacciante. Se è inaccettabile che si assolva un imputato che si sa colpevole, è obbrobrioso auspicare l’inquisizione di una persona sapendola innocente».

L’utilizzo del Trojan, con cui si sono registrate le conversazioni, è legittimo?

«Lo reputo uno strumento invasivo, che viola il principio di riservatezza garantito dall’articolo 15 della Costituzione italiana. Potrebbe essere un elemento per le indagini, ma non costituire un mezzo di prova. Alcuni irridevano questa presa di posizione. Chissà se, adesso, dopo questa sorta di nemesi processuale, qualcuno finalmente cambierà idea».

Che cosa prova un cittadino dinanzi a questo cortocircuito della giustizia?

«Si prova un senso di profondo sconforto e anche d’incredulità. Si stenta a capire in che modo un magistrato poco più che cinquantenne abbia potuto accumulare un siffatto potere e, come un re sole, manovrare e distribuire incarichi. Non va però dimenticato anche il ruolo dei compartecipi. Nelle riunioni in un albergo romano dove si impostava la spartizione degli incarichi erano presenti fior di politici».

m.g.o.

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