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Guido Sacerdote, da Alba venne il primo mago della televisione

Guido Sacerdote, un albese in Rai per Studio Uno e i grandi varietà

BIOGRAFIA «Il più comico dei miei ex alunni!», lo ricordava la sua professoressa di inglese del ginnasio-liceo. C’era evidentemente, fin da giovanissimo, un temperamento spettacolare, istrionico, burlesco nell’albese Guido Sacerdote (1920-1988), che da tempo ormai figura nelle enciclopedie dello spettacolo per una lunga e brillante carriera di produttore televisivo, fin dai primi, sperimentali anni della Rai. Insieme a quello del regista Antonello Falqui (da poco scomparso) il nome di Sacerdote ritorna infatti nei titoli di programmi che per forma, ritmo, soluzioni – per stile, insomma – furono rivoluzionari e oggi diciamo classici, con riverenza ma senza sospetto di vetustà.

Programmi celebri

Studio uno e Canzonissima, in primo luogo, prototipi canonici del cosiddetto varietà televisivo di cui ci piacerebbe tanto rivedere una puntata per intero anziché smozzicata in bocconi, per quanto mirabili. Oggi Sacerdote avrebbe cent’anni: al principio degli anni Cinquanta, aveva lasciato la farmacia paterna al principio di corso Langhe per il teatro e poi la nascente televisione, a Torino, Milano, fino a Roma. Era quella la sua autentica vocazione, a cui lo «incitarono» («per primi»: così lui stesso riconobbe, grato) Augusta Rivabella e suo marito Pinot Gallizio, un altro albese geniale con laurea e bottega di farmacia in curriculum.

La filodrammatica del Circolo sociale

Con Pinot, Augusta e altri, Sacerdote mise in piedi – nel laico, borghese e a tratti culturalmente sorprendente Circolo sociale – una filodrammatica leggera che, a giudicare dalle testimonianze (tra cui alcune fotografie esposte vent’anni fa dall’archivio Gallizio), offrì svago e colore appena finita la guerra e diede modo al futuro direttore artistico di mostrare, anche se in scala ridotta, il suo talento. Che gli veniva riconosciuto, evidentemente: in quel periodo disastrato e fervoroso Sacerdote fa parte dei comitati della rinata Fiera del tartufo, anima con i suoi coetanei la ripresa della vita sociale in città, con occasioni festose, goliardiche, persino militanti (come il pubblico invito, nel ’48, a boicottare le sale cinematografiche, ree di passare una produzione scadente). Del resto, l’inclinazione allo sberleffo l’aveva mostrata già nell’adolescenza, durante il Ventennio (come ricostruito in questa pagina): una precocità rischiosa, ancora più per il suo essere ebreo, che infatti subirà i soprusi e i pericoli delle leggi razziali del 1938.
I genitori fanno entrambi Sacerdote di cognome: il padre, farmacista, è di origine pavese; la madre, di Alba, è titolare della storica cartolibreria di via Maestra che sarà rilevata dalle sorelle Marchisio; le testimonianze di questi anni bui sono raccolte, tra molte altre, nell’affettuoso libro Alba-Broadway, solo andata… (Rotagrafica editrice), curato da Franco A. Fava nel 2004. Della sua generazione cresciuta sotto il fascismo, Sacerdote frequenta e stima precocemente (un segno anche questo del suo acume nell’individuare il talento) Beppe Fenoglio, più giovane di due anni, che seguirà a ogni libro, e su cui molti anni dopo costruirà, insieme a Davide Lajolo, un documentario radiofonico.

Legato ad Alba

Sebbene staccatosi fisicamente da Alba, Guido Sacerdote non smetterà mai di ripensarla, con affetto e vivida ironia. Come testimoniano queste sue dichiarazioni, raccolte nel dicembre 1958, sul periodico della Famija albèisa, da Vittorio Riolfo, il nostro più grande cronista culturale del Novecento, qui autore di una «inchiesta lampo tra le personalità albesi» cui era rivolta una «candida domandina»: «Che cosa desidererebbe per l’anno 1959?».
In mezzo a sentite affermazioni di principio e auspici di progresso, sviluppo, ammodernamenti, il «dottor Guido Sacerdote, il quale esplica presso la Rai Tv della capitale un’attività molto importante e impegnativa», risponde premettendo di non ritenere «che i suoi desideri possano interessare gli albesi». Ecco la sua risposta: «Vorrei fare un lungo bel sogno: avere 10 in matematica dal professor Perazzo; essere condotto da mia nonna, per premio, dalla vecchia signora Pettiti a mangiare le bignole al cioccolato a venti centesimi l’una; saper leggere metricamente il greco meglio dell’ingegner Morra davanti al professor Riccomagno; giocare terzino destro nell’Albese davanti al portiere Bergero e, per ultimo, vedere Pinot Gallizio deputato in Parlamento. Poi svegliarmi e aver vinto cento milioni al Totocalcio».
Sotto la superficie leggera, scanzonata, c’è un saluto affettuoso ad Alba, non soltanto agli amici intimi ma a tutta la sua gente: oggi i nomi citati dicono forse poco ai più giovani, ma si trattava di figure pubbliche, note a tutti, se non autentiche istituzioni, formali e materiali (le bignole di Pettiti). Anzi, come commentò lo stesso Riolfo, Sacerdote rilascia, da lontano, «una dichiarazione d’amore per la nostra e la sua città». Con Perazzo, Riccomagno, la metrica greca, Sacerdote strizza l’occhio al ginnasio-liceo: forse al «comico ex allievo» non spiacerebbe sapere che oggi l’arena estiva del teatro Giorgio Busca – che solo un cancello separa, suggestivamente, da quella scuola – porta proprio il suo nome.

Edoardo Borra

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