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Il dopo pandemia mette in luce i malesseri antichi del Piemonte

La natalità nella nostra regione è calata del venti per cento in dieci anni; attiriamo soltanto stranieri che svolgono mestieri poco qualificati e tutti rischiamo la prospettiva di bassi livelli retributivi e precarizzazione

Il dopo pandemia mette in luce  i malesseri antichi del Piemonte

IRES Meno 2,5 miliardi. Sono le tonnellate di CO2 che il pianeta risparmierà alla fine del 2020, «un dato impressionante, corrispondente alla somma delle emissioni prodotte in un anno dai sei Paesi più impattanti d’Europa. Eppure, sarebbe stato meglio che questo miglioramento fosse stato provocato da una riconversione dell’economia piuttosto che dal suo rallentamento»: parole di Maurizio Maggi, ricercatore di Ires, pronunciate nel corso della presentazione di Piemonte economico e sociale 2020, la più approfondita analisi statistica sulla salute del nostro territorio.

Il dopo pandemia mette in luce  i malesseri antichi del Piemonte 2Secondo l’Istituto di ricerche economiche e sociali una delle dimensioni più critiche è l’economia, fiaccata dall’epidemia da Covid-19. Tanto che in futuro potremmo trasformarci, per utilizzare un’iperbole, in una «regione di camerieri», caratterizzata da una predominanza di forza lavoro a scarsa specializzazione, bassi livelli retributivi e aumento del precariato. Era una tendenza in corso già prima dell’emergenza: nel 2019 rispetto all’anno precedente si sono registrati 30mila contratti full-time in meno e 27mila part-time in più.

I problemi in Piemonte riguardano anche la scuola: uno studente su due tra quelli in difficoltà socioeconomica termina il proprio percorso con livelli di preparazione insufficienti. Una notizia positiva proviene invece dal fronte universitario: sono sempre di più le persone iscritte, quindi il livello culturale medio della popolazione cresce. Dieci anni fa erano 100mila gli studenti negli atenei, oggi sono 120mila. Inoltre, nel 2019, gli studenti che da altre regioni hanno scelto di trasferirsi per frequentare un corso di laurea superavano di 14mila quelli che, dal Piemonte, si sono spostati altrove (36mila contro 22mila).
Infine la demografia. Le nascite sono calate del 20 per cento in dieci anni, configurando una crisi senza precedenti: l’invecchiamento e le correlate malattie croniche sono un’indiretta conseguenza del basso indice di natalità.

Mentre negli scorsi anni l’immigrazione sembrava funzionare da contrappeso a questa dinamica (molti giovani arrivavano, abbassando la media anagrafica), oggi le famiglie straniere mostrano indici di natalità simili a quelli dei nuclei piemontesi. Inoltre, spiegano i ricercatori, «soltanto un migrante su otto svolge un lavoro qualificato: abbiamo attratto braccianti agricoli, colf, badanti».

È la drammatica condizione di chi arriva nel nostro Paese ma non è accompagnato in alcun percorso di valorizzazione dei propri talenti, gli invisibili che animano il livello più basso della società.

Cirio: nei momenti difficili nascono le rivoluzioni positive

L’introduzione allo studio di Ires è toccata al presidente Alberto Cirio, che ha detto: «La pandemia ci ha fatto capire come siamo reciprocamente importanti e preziosi gli uni per gli altri, perché il sistema si sarebbe inceppato se accanto al nostro straordinario personale sanitario non fossero andate a lavorare le persone che hanno garantito i servizi essenziali, dalla raccolta rifiuti all’apertura dei supermercati».

Dopo aver ricordato la difficile situazione di partenza in campo sanitario – carenza di assistenza Il dopo pandemia mette in luce  i malesseri antichi del Piemonte 3domiciliare e personale, scarso investimento sui servizi di prevenzione e mancanza di laboratori per l’analisi dei tamponi – e gli sforzi compiuti – dall’aumento dei posti di terapia intensiva negli ospedali al ruolo di sentinella affidato ai medici di base per la prevenzione e gestione in tempi rapidi di un eventuale contagio di ritorno – Cirio ha spiegato: «È importante partire da numeri certi per avere indicazioni valide su cui progettare il nostro futuro. E i numeri odierni ci dicono che abbiamo la forza per uscire dalla tempesta economica e sociale che ha seguito la pandemia.

Il Piemonte è al quinto posto tra le migliori regioni in Italia, con livelli di eccellenza nei campi dell’innovazione, oltre che dell’agricoltura sostenibile o dell’utilizzo dell’acqua per produrre energia. Da questi dati ripartiremo. Proprio nei momenti complessi nascono le rivoluzioni positive e a volte dopo una tempesta si scorgono nuovi approdi che invece mai si sarebbero incontrati».

Le adolescenti consumano quasi il doppio di antidepressivi dei coetanei

«La popolazione piemontese ha un’aspettativa di vita lunga, con una media di 83 anni, ma l’invecchiamento è sempre più impattante. Il 41% dei piemontesi dice di soffrire almeno di una patologia cronica come ad esempio ipertensione, artrosi, allergia. E il 20% riferisce almeno due malattie di questo tipo»: lo ha spiegato la ricercatrice Ires Chiara Rivoiro durante la conferenza per la presentazione del nuovo rapporto Piemonte economico sociale 2020.

Il dopo pandemia mette in luce  i malesseri antichi del Piemonte 1Le malattie croniche assorbono oltre l’80% della spesa sanitaria. Ha proseguito Rivoiro: «Il sistema deve promuovere una medicina di prevenzione e proattiva: gli investimenti nella salute collettiva preverranno impatti negativi sulla salute dei cittadini e sul sistema sanitario». Non solo sul fronte organico, ma anche su quello psicologico: l’indice di salute mentale della nostra regione è il peggiore a livello italiano, e il quantitativo di psicofarmaci che le ragazze adolescenti consumano è quasi doppio rispetto a quello dei loro coetanei. Mente e corpo si influenzano a vicenda, le malattie derivano dall’alterato equilibrio di queste dimensioni.

La relazione prosegue rilevando come nel 2018 il Piemonte abbia investito sul fronte sanitario oltre 8,4 miliardi in spesa corrente: 1.955 euro per ogni cittadino, una media simile a quella italiana. Eppure la spesa regionale è cresciuta del 48 per cento, molto meno rispetto agli altri territori, la cui media si attesta su un +60 per cento. Questo scarso investimento ha provocato vari rallentamenti, difficoltà e congestionamenti della capacità del sistema di soddisfare i bisogni esistenti. Dal punto di vista strutturale la riorganizzazione della rete ospedaliera avvenuta negli ultimi anni ha ridotto il numero di posti letto da oltre 18mila a poco più di 16mila, ma questo non ha impattato sull’area di alta intensità, come terapia intensiva o pneumologia. «Perciò è stato possibile mantenere una certa flessibilità nell’affrontare  la pandemia», ha detto Rivoiro. Eppure, «la rete ospedaliera richiede ancora cure aggiuntive: un ospedale su tre in Piemonte non è più pienamente recuperabile a causa dell’obsolescenza. Servono un miliardo e 650 milioni di euro per adeguare strutture vetuste». Infine, emerge dal rapporto Ires come negli ultimi 10 anni la nostra regione abbia perso oltre il 7 per cento del personale sanitario.

Nei prossimi anni molti giovani potrebbero non riuscire a inserirsi nel mercato lavorativo ed essere costretti a rivolgersi al privato o addirittura trasferirsi all’estero. «Occorre investire sul personale, se vogliamo continuare ad accedere al sistema sanitario pubblico per come lo conosciamo», ha concluso la ricercatrice.

Investire per migliorare la società

«Il periodo trascorso in emergenza ha fatto emergere le criticità presenti sul territorio piemontese, ma ha evidenziato anche quegli elementi positivi e di forza – delle istituzioni regionali e locali, così come della società civile – a cui si deve guardare per operare un rilancio dell’economia che prenda una direzione diversa rispetto alla traiettoria fino a ora seguita, che non ripeta gli errori dell’attuale sistema produttivo. E pure la nuova attenzione alla sostenibilità va in questa direzione»: lo ha detto Michele Rosboch, presidente di Ires, nell’introdurre Piemonte economico sociale 2020.

Maurizio Maggi e Chiara Rivoiro hanno illustrato come l’emergenza abbia colpito un sistema sanitario inIl dopo pandemia mette in luce  i malesseri antichi del Piemonte 4 una fase di trasformazione ancora incompiuta e da accelerare verso un nuovo modello territoriale e un contesto socioeconomico già attraversato da profonde correnti di cambiamento. Qui la sfida tecnologica ha accentuato il divario fra imprese più e meno competitive (le indagini dicono che pur a fronte di un lusinghiero 66 per cento di aziende che ha innovato prodotti o servizi solo 10-15 su cento sono considerabili come “tecnologiche”); gli indicatori del lavoro tengono, ma più per l’invecchiamento e la contrazione demografica che per il rafforzamento della base produttiva: crescono la divergenza fra generazioni (a discapito dei giovani) e l’area della sottoccupazione. Inoltre, si mantengono bassi la qualificazione della forza lavoro e di conseguenza le retribuzioni. I livelli di istruzione sono cresciuti, ma meno degli altri Paesi europei, la partecipazione agli studi è elevata ma con significative differenze tra italiani e stranieri; la dispersione scolastica esplicita (abbandono) diminuisce, ma quella implicita segnala rilevanti divari fra famiglie povere e ricche.

Infine, dice il rapporto, la capacità attuativa dei vari livelli di governo non è sempre adeguata ai tempi delle sfide. Nella ricostruzione sarà vitale agire con un disegno che usi le risorse pubbliche per mobilitare quelle private: ma dev’essere chiaro che una burocrazia efficiente è la spina dorsale di una democrazia autorevole e che per migliorarla bisogna investire.

Intervista a Maggi: dovremo spendere meglio i fondi Ue in arrivo

Parliamo della situazione economica della nostra regione con Maurizio Maggi, ricercatore di Ires Piemonte.

Come sta l’economia piemontese, Maggi?

«A livello economico le cose andavano male già prima del Covid-19, da noi come in tutto il mondo. Eravamo prossimi alla recessione e la pandemia ci ha indeboliti ulteriormente. Eppure, non sono mancate le buone sorprese. Ad esempio, il tasso di nascita-mortalità delle imprese, che prima dell’emergenza risultava fortemente negativo (il numero di aziende chiuse superava di gran lunga quelle aperte), ha presentato miglioramenti».

Come spiega il dato?

«Le imprese che stavano per aprire hanno rinviato, ma chi voleva chiudere ha preferito temporeggiare nella speranza che il contesto migliori oppure che arrivino aiuti dallo Stato. In particolare, il settore delle costruzioni è quello che ha mostrato impreviste evoluzioni: a gennaio il saldo di nascita-mortalità delle imprese era negativo e segnava 561 unità in meno; a maggio era invece positivo, pari a +119 unità. Un dato confermato dall’impressione soggettiva: girando per le strade durante la quarantena era possibile vedere molti operai all’opera su edifici o nei cantieri».

Il dopo pandemia mette in luce  i malesseri antichi del Piemonte 5Qual è la sfida del futuro?

«L’epidemia ha illuminato debolezze che sapevamo di avere, ma la cui soluzione continuavamo a rimandare. La sfida per il futuro è spendere in fretta e bene le risorse che arriveranno dall’Ue. Non è facile utilizzare i finanziamenti in modo tempestivo, efficace e appropriato. Servono organizzazione e programmazione: finora abbiamo dimostrato scarsa capacità selettiva e gestionale delle risorse, oltre che opacità e confusione. Ma i finanziamenti arriveranno: dovremo essere rapidi a spenderli».

A livello sociale, in effetti, servono misure urgenti: i bisogni della popolazione sono tanti.

«Una delle mancanze primarie emerse dalla nostra ricerca è che a livello statistico non disponiamo di dati e numeri capaci di descrivere il fenomeno della povertà. La maggioranza delle indagini sono proposte da associazioni private. Eppure l’indigenza è sempre più diffusa. Monitorarne la portata è urgente, altrimenti potrebbe essere troppo tardi. La crisi ha colpito le persone più povere, non possiamo permettere che le famiglie non abbiano, letteralmente, più il pane e siano costrette magari a scendere in strada per reclamare i loro diritti di base».

Maria Delfino

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